La guerra è mondiale. I dieci aerei sono esplosi nella percezione collettiva, e la deflagrazione si è sentita in tutta Europa, oltre l’Atlantico fino a confondersi con i boati di morte sopra i cieli di Beirut. Oggi è l’11 agosto, e segue l’11 luglio e l’11 settembre, una sequenza senza fine che dice il progressivo fallimento dell’eclisse della politica e delle strategie di guerra. A ogni colpo di mortaio si moltiplicano le forze del terrorismo, «organiche» a quelle dei generali, e non c’è più confine tra i crimini di stato e quelli delle cellule dormienti, risvegliate dalla stessa furia di sterminio di civili dall’est all’ovest. Hanno un bel congratularsi Blair e Bush per l’attentato sventato, per l’azione dell’intelligence che avrebbe evitato un «progetto di gravità immensa» finalizzato a una «mattanza di massa». La mattanza, intanto, continua indisturbata tra la macerie libanesi e medio-orientali, tanto che non ci sono più parole per descriverla e il britannico Guardian è «costretto» a pubblicare in prima pagina l’icona della morte, un bambino insanguinato schiacciato tra le pietre e avvolto da una mano che non l’accarezzerà più. Cosa c’è da congratularsi? La bomba è scoppiata e le schegge hanno colpito un’area più vasta dell’areoporto di Heatrow, dove migliaia di persone sono accalcate, impaurite e impotenti, mentre in tutti gli scali internazionali bloccano arrivi e partenze e il livello di massima allerta è schizzato in alto da Parigi e New York.
Scotland Yard era sulla pista dei terroristi da settimane, e ha deciso di intervenire a poche ore dagli attentati con un effetto mediatico dirompente, ieri le tv e oggi i giornali sono attraversati dall’onda d’urto del non-evento. Mentre George W. Bush ci informa dal suo ranch in Texas che sapeva tutto e che passava le vacanze al telefono con Blair per decidere l’ora giusta del blitz utile per riportarlo in alto nella classifica dei consensi: ecco di cosa siamo capaci, noi che abbiamo dichiarato tolleranza zero verso i nemici dell’occidente. La strategia è sempre la stessa, alzare il livello della paura, riconfermare la linea di forza e il via libera all’abuso di potere dentro e fuori casa.
Da tempo ormai la democrazia è corrosa dall’avanzare dei guerrieri che ci difendono dagli assassini, ma oggi l’arma usata assomiglia a un boomerang. Chi crede più, cinque anni dopo le Twin Towers, che la politica della Casa bianca e dei suoi alleati ha portato più sicurezza? Non ci credono più neppure gli americani filo Bush, e non ci credono i democratici che proprio ieri hanno bocciato il militarista Joe Lieberman, sconfitto per il suo appoggio a una guerra fallimentare, e promosso il pacifista Ned Lamont. Segnali che dicono di una profonda incrinatura del «fronte patriottico», perché non è in questo modo che si difende l’America, a colpi di genocidi.
Così la sensazione pervasiva dell’opinione pubblica di fronte a una strage evitata peggiore di quella dell’11 settembre non è più quella di allora. È la debolezza e l’inefficacia di una macchina bellica che non protegge, ma macina cadaveri la nota dominante di questo 11 agosto. Nessuno tira un sospiro di sollievo, perché non è finita. Nel mirino non ci sono solo Londra, Glasgow e Manchester o le linee aeree americane, ma ogni angolo di mare e di cielo di ferragosto e dopo. La paura che ci circonda corrisponde alla consapevolezza che la guerra non è altrove, è qui.