Offensiva Usa, al Sadr si defila

I comandi Usa incaricati di «rioccupare» Baghdad, nel giorno in cui il nuovo capo del Pentagono Robert Gates durante una visita lampo nella città meridionale di Basra ricordava loro «non possiamo neppure prendere in considerazione l’ipotesi di una sconfitta», hanno cominciato a scoprire le loro carte: e per prima cosa, mentre si combatte ancora ad Haifa street in pieno centro, hanno circondato alcuni tra i più ribelli quartieri a maggioranza sunnita sulla riva sinistra del Tigri – al Sulaikh, Adhamiya e al Qahira – isolandoli completamente e perquisendoli casa. Obiettivo dei raid il disarmo di queste roccaforti della resistenza nei quali le forze di sicurezza del governo curdo-sciita hanno difficoltà a penetrare per realizzare il loro folle piano di cancellare qualsiasi presenza sunnita nella parte orientale della città. Il problema è che le milizie governative non si sono neppure limitate a questo e negli ultimi mesi hanno lanciato attacchi quotidiani anche contro i quartieri della parte occidentale di Baghdad cercando di rovesciare quella superiorità numerica che i sunniti – tradizionali dipendenti dell’amministrazione statale, del partito, e parte fondamentale delle forze armate e di sicurezza – hanno sempre avuto nella capitale. Quest’orgia di sangue – alla quale i gruppi più estremi sunniti vicini ad al Qaida hanno contribuito non poco colpendo con le loro autobombe i quartieri sciiti – frutto del tentativo Usa di dividere il paese su basi confessionali e dell’utilizzo di veri e propri «squadroni della morte» governativi – l’opzione Salvador dell’ex ambasciatore Usa a Baghdad, Negroponte – per schiacciare la resistenza, è però totalmente sfuggita di mano ai suoi apprendisti stregoni. Sotto il governo al Maliki (sostenuto dai due partiti curdi e dai tre principali movimenti sciiti filo-iraniani) questa strategia si è trasformata in una caccia al sunnita e spesso semplicemente al non religioso, al professionista, all’ex militare, al reduce della guerra contro l’Iraq (centinaia di ufficiali dell’aviazione colpevoli di aver colpito negli anni ottanta le città iraniane sono stati uccisi nelle loro case) portata avanti non solo dalle nuove forze di sicurezza governative, in gran parte composte da ufficiali e miliziani provenienti dalle fila della brigata al Badr – braccio armato addestrato dagli iraniani del principale partito sciita di governo il «Consiglio supremo per la rivoluzione islamica in Iraq» di Abdel Aziz al Hakim – e da quelle dell’esercito del Mahdi del leader radicale Moqtada al Sadr, ma anche da feroci milizie di quartiere «fai da te», politico-criminali, facenti riferimento a quest’ultimo ma in realtà del tutto indipendenti. Questo regno del terrore ha portato alla fuga di gran parte della classe media sunnita, ma anche di buona parte di quella sciita, e allo svuotamento di interi quartieri sunniti e misti. Un terrore che ha provocato una totale identificazione tra gli abitanti dei quartieri sotto tiro non solo con la resistenza irachena ma anche con la galassia di al Qaida e che ha suscitato lo sdegno di tutti i paesi arabi della regione. Il «caos creativo» invocato dai «neocon» ha reso Baghdad, e l’Iraq, del tutto ingovernabili anche per gli stessi occupanti. Da qui il nuovo piano di Bush per schiacciare la resistenza ma anche per «ripulire» la città dalle bande sciite «fai da te», al di fuori delle principali mafie politico-criminali legate al governo e anche da quei settori, sempre sciiti, che invece sul piano politico e militare, hanno iniziato a combattere anche loro contro le truppe occupanti.
Un piano che godrebbe del pieno sostegno di Abdel Aziz al Hakim dello Sciri e del partito al Dawa, dal momento che questi, da soli, non riuscirebbero mai a sconfiggere la resistenza patriottica irachena, ma anche – giocoforza- dallo stesso Moqtada al Sadr che in tal modo avrebbe salva la vita e continuerebbe a gestire cinque ministeri, trenta deputati, i suoi miliziani, e parte delle nuove forze di sicurezza e della polizia. Il tutto sperando che, prima o poi, gli americani se ne vadano. Del resto se al Sadr fosse nuovamente sconfessato dalla massima autorità sciita, l’ayatollah al Sistani e se dovesse affondare i piani di Tehran non avrebbe scampo. Da qui la reazione di basso profilo al blitz Usa dell’altra notte a Baladiyat, nei pressi della roccaforte sciita di Sadr city, nel corso del quale è stato arrestato Abdu Hadi al-Darraji, uno dei suoi più noti collaboratori, praticamente il suo portavoce, insieme a un non meglio precisato «esponente degli squadroni della morte» nella capitale e ad altri due comandanti locali. Secondo il comando Usa al Darraji, e soprattutto un altro degli arrestati, avrebbero legami con Abu Diraa, capo di un potente e feroce squadrone della morte sciita «coinvolto in rapimenti, torture e omicidi di civili iracheni». Il movimento di Al Sadr , in forte difficoltà, ha denunciato la «provocazione» subita da parte degli Usa ma si è affrettato a precisare che però «non sarà raccolta».