Odio di classe *

L’escalation di campagne mediatiche, provvedimenti legislativi e forzature della stessa concertazione così come l’abbiamo conosciuta negli anni Novanta, dimostra che la lotta di classe non si è affatto esaurita, ma che agli albori nel XXI° Secolo è tornata indietro di almeno duecento anni. Essa è ispirata dagli spiriti animali del capitalismo ottocentesco e dal suo odio – di classe – contro la maggioranza sociale che dalla seconda metà dell’Ottocento e con maggiore successo nel Novecento ha ingaggiato la sfida della giustizia sociale e del cambiamento del potere politico rispetto al capitalismo dominante.
“La borghesia odia il proletariato, perché non è contenta soltanto di sfruttarlo, ma nutre veramente un odio radicale e una piena coscienza del proprio statuto di classe” ha scritto con straordinario coraggio ed efficacia Edoardo Sanguineti, premettendo però un concetto che – in Italia e nel primo decennio di questo secolo – dovremo tenere bene a mente: “Non esiste coscienza di classe se non esiste odio di classe” (1)

La lotta di classe dall’alto verso il basso
Ci troviamo dunque di fronte a due serissime questioni:
1) E’ dai primi anni Ottanta che la borghesia italiana (includendovi gli arricchiti, il nuovo ceto politico emerso dalla dissoluzione della prima repubblica e una parte del rabbioso ceto medio che alimenta da sempre il blocco reazionario nel nostro paese) ha scatenato una feroce lotta di classe contro i lavoratori, le loro conquiste, la loro identità e le loro organizzazioni. Questa lotta di classe contro i lavoratori e i settori popolari– ieri con il craxismo e oggi in perfetta sintonia bipartizan tra Partito Democratico e Forza Italia – definisce se stessa come “modernizzazione” del sistema paese e si ispira al pensiero liberale(2)
2) La borghesia italiana ha coscienza di sé e quindi odia i lavoratori sulla base di una preciso statuto di classe mentre la sinistra riformista italiana (dall’ultimo PCI ai disciolti DS) ha fatto di tutto affinché i lavoratori perdessero coscienza, conquiste e identità, quindi statuto di classe. Non hanno operato in meglio gli spezzoni emersi dalla crisi del PCI prima e dei DS poi. PRC, Sinistra DS e lo stesso PdCI (3), biodegradando l’identità di classe dei lavoratori dentro il movimentismo interclassista di ispirazione socialdemocratica, poi dando centralità alla categoria dominante e astrusa – se non intesa in senso gramsciano – di società civile fino alla teorizzazione pratica dell’autonomia del politico che vede prevalere i gruppi parlamentari, gli amministratori locali e i funzionari come referente decisivo delle scelte politiche dei partiti. E’ innegabile che la “Cosa Rossa” di cui da mesi cianciano gli stati maggiori di PRC, PdCI, Sinistra Democratica oggi sia questo e non altro.

I provvedimenti in materia di ordine pubblico messi in cantiere dal Ministro Amato contro la mendicità, gli ambulanti, gli irregolari, le piccole forme di illegalità degli esclusi, recuperano e assumono in sé tutto l’odio di classe ottocentesco di matrice liberale. In sostanza trasferiscono sul terreno dei provvedimenti polizieschi la gestione degli effetti del complesso di misure legislative e campagne mediatiche a cui assistiamo da mesi. Migranti e lavavetri? Sono una minaccia alla legalità. I lavoratori? Sono dei fannulloni. Lo Stato sociale? E’ un sperpero di risorse pubbliche. I diritti? Sono una rigidità che ingessa la modernizzazione del sistema. Il sistema elettorale proporzionale? Impedisce la governabilità. La democrazia? E’ un peso che va limitato al “governo dei migliori” teorizzato da Montezemolo.
E’ impressionante la somiglianza tra queste tesi – oggi diffuse a piene mani non solo dal milieu anticomunista viscerale di Berlusconi ma anche dagli “uomini della provvidenza” come Veltroni, Cofferati etc e quelle dei pensatori liberali che – a cavallo tra il Settecento e l’Ottocento -scatenarono una vera e propria guerra di classe contro i poveri, gli operai, gli scarti umani prodotti dalla rivoluzione industriale in Inghilterra.
Lo storico Domenico Losurdo, ha messo insieme queste tesi in un recente libro che vale la pena di leggere con attenzione in tempi come questi. L’odio di classe contro i poveri, i mendici, i vagabondi, i salariati miseri, gli espropriati delle campagne venuti in città, così come il razzismo, lo schiavismo e il colonialismo, sono una caratteristica comune e fondante dei pensatori liberali dell’Ottocento.
L’introduzione del lavoro coatto e delle sanzioni penali per questuanti, lavavetri, writers, mendicanti, l’inasprimento delle pene verso i “reati contro la proprietà” estendibili anche ai minorenni, avanzata dal Ministro Amato (con enormi consensi bipartizan) è l’altra faccia del razzismo di ritorno, delle missioni militari coloniali e civilizzatrici e della stessa democrazia di “lorsignori” abbondantemente analizzata e denunciata da Losurdo.

L’orizzonte è il welfare dei miserabili
“E’ evidente che dobbiamo rendere spiacevole l’assistenza, dobbiamo separare le famiglie, fare della case di lavoro una prigione e rendere la nostra carità ripugnante” (4).E’ sufficiente segnalare questo passo di Toqueville per vedere non solo l’odio di classe verso i poveri ma anche l’orizzonte del welfare dei miserabili al quale puntano le sia misure adottate dal governo di centro-sinistra sia l’idea di stato sociale che ispira i liberali (forzaitalioti o democratici) e le loro campagne contro la spesa e i servizi pubblici (5).
Dunque abbiamo di fronte una classe dominante vendicativa che vuole riportare nel nostro paese i rapporti sociali all’Ottocento, che percepisce se stessa come superiore (6) sia rispetto al suo popolo che rispetto ai popoli, che intende vendicarsi per i “torti” subiti negli anni Settanta che ne hanno contrastato l’arroganza per almeno un quindicennio (da qui l’odio feroce per il movimento del ’77 e quello appena più mitigato verso il movimento del ‘68/’69) e che lincia politicamente per ogni frase appena appena fuori posto (7).
E’ stato sufficiente vedere come questa classe dominante ha reagito ai movimenti antiliberisti avviatisi da Seattle in poi e che avevano cercato di avviare una importante controtendenza: cosa è stata Genova 2001 se non la rappresentazione violenta e rivelatrice di questo odio e della vendetta di classe di “lorsignori”?
Questa classe dominante ha utilizzato ogni mezzo e illecito per arrivare a questa situazione nei rapporti di forza. Cosa è stata la reazione dell’establishment al conflitto di classe nella Prima Repubblica lo dice bene il personaggio di un bellissimo romanzo sociale contemporaneo “L’Italia è una democrazia a sovranità limitata, dominata da una oligarchia di corrotti, stragisti e mafiosi legati dal cemento dell’anticomunismo” (8)
Cosa sarà con la Seconda Repubblica del bipartitismo, del Partito Democratico, della modernizzazione del sistema e del governo dei migliori lo stiamo già vedendo qui ed ora.
Gente che guadagna come minimo duecentomila euro all’anno dice che a chi ne guadagna venticinquemila o che vive nella precarietà o con pensioni da fame che loro sono il problema da eliminare. E’ uno scenario non è più accettabile come non lo era quando nacque la Lega dei Giusti a metà dell’Ottocento, ma da allora i lavoratori ne hanno fatta tanta di strada e si sono presi bei pezzi di storia nelle proprie mani. In questo scorcio di XXI° Secolo i ricchi, i borghesi e il loro establishment vogliono riportare indietro la storia di almeno due secoli. Del resto è anche vero che sul piano della spartizione della ricchezza prodotta nel nostro paese, il reddito destinato al lavoro – rispetto a rendite e profitti – è tornata al 46,6% cioè ai livelli del 1881, indietro di quasi 130 anni (9)
Per questo nel rapporto con i governi di “lorsignori”.occorre recuperare con forza l’indipendenza dall’attuale quadro politico e l’identità di classe dei lavoratori e dei settori popolari– incluso l’odio di classe – come elemento formativo di una coscienza che possa riaprire una ipotesi avanzata e trasformatrice dentro questa società.

Note:

(1) E. Sanguineti: “Come si diventa materialisti storici?” p.27, edizioni Manni/CRS
(2) L’offensiva craxiana dei primi anni Ottanta, si muoveva in sintonia con l’ondata liberista thatcheriana e reaganiana e segna indubbiamente il punto di snodo della restaurazione nel nostro paese. I linguaggi di Veltroni, D’Alema come quello dei vari Giddens si richiamano continuamente al dogma della modernizzazione come valore di riferimento, lo stesso aveva fatto Craxi all’epoca. E’ in questi venti anni che i confini tra socialdemocrazia e liberalismo si sono fatti prima labili e poi inesistenti.
(3) Il PdCI ha cercato e cerca di mantenere alcuni capisaldi di identità politica e culturale, tentativo rilevabile dal suo settimanale “La Rinascita” e da alcune iniziative, ma quando si passa all’azione politica emerge tutta l’ambiguità mascherata da pragmatismo classica degli Amendola e dei Cossutta che caratterizzarono il PCI.
(4) D. Losurdo. “Controstoria del liberalismo”, Laterza, p.73
(5) Il concetto di welfare dei miserabili è stato coniato dall’economista Luciano Vasapollo in diversi lavori apparsi sulla rivista Proteo.
(6) Montezemolo in uno dei suoi deliri di onnipotenza, ha avanzato l’idea del “governo dei migliori”. Un concetto che esteso sul piano delle relazioni internazionali sottende alle invasioni militari nei paesi del sud del mondo per portare la “democrazia”.
(7) E’ stato il caso recente di Francesco Carusosulla Legge Biagi o ancora prima di Oliviero Diliberto il quale in una battuta affermava che al “Billionaire” in Costa Smeralda ci sarebbe andato solo imbottito di tritolo.
(8) E’ quanto dice il poliziotto Scialoja in “Romanzo Criminale” di Giancarlo De Cataldo
(9) Geminello Alvi in CorrierEconomia, dicembre 2006/Contropiano nr.1 del 2007