OCS: in agenda nel vertice di giugno suo potenziamento e allargamento a nuovi membri

*CeSPIn – Puntocritico

Il 14 maggio in Kazakistan si è tenuto un’incontro tra i ministri degli Esteri dell’Organizzazione di Cooperazione di Shanghai; l’incontro era finalizzato a organizzare l’agenda del prossimo vertice di metà giugno, che sempre in Kazakistan dovrà affrontare temi e decisioni che segneranno, per la loro importanza, il futuro assetto del continente euroasiatico.

Stiamo parlando della probabile entrata a membro effettivo nell’OCS della potenza indiana. La sua candidatura era stata presentata da Pekino sul finire del 2010, ma già a ottobre l’iperattivismo russo sull’India faceva presagire un salto di qualità nelle relazioni tra le potenze eurasiatiche. Il 2010 è stato un anno che ha visto un rafforzamento nei legami commerciali e d’investimento senza precedenti, soprattutto da parte cinese. Memorabile la risposta cinese allo sbarco di Obama e dei suoi 10 mld. di dollari d’investimento a Nuova Dehli , che si è materializzata nel raddoppiamento della cifra nei giorni successivi da parte di 400 imprenditori cinesi al seguito di Wen Jaobao nel dicembre scorso; è stata in quell’occasione che il premier indiano Sigh ha aperto le braccia all’OCS, parlando per la prima volta da paese candidato a membro permanente.

Per comprendere meglio la prospettiva che ha condotto l’India a camminare a braccetto con Pekino da un lato e con Mosca dall’altro occorre ricordare che sul versante cinese l’interscambio tra i paesi è cresciuto dai tre miliardi di dollari del 2000 ai 60 miliardi del 2010 con prospettiva di sforamento dei 100 miliardi entro il 2015, sul versante russo viceversa seppur apparentemente modesto (al momento) l’interscambio commerciale riguarda settori strategici che vanno dal nucleare alle telecomunicazioni per non parlare poi della partnership crescente nel settore militare. Questo percorso era comunque ovvio e consequenziale alle scelte di campo che questi paesi già avevano avviato aprendo e materializzando il proprio reciproco avvicinamento all’interno del gruppo del BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), gruppo che è nato come luogo di confronto per un percorso di trasformazione dell’attuale architettura finanziaria ed economica mondiale.

L’Organizzazione di Cooperazione di Shanghai rappresenterà quindi un blocco politico ed economico continentale di proporzioni colossali, è evidente che questo blocco geopolitico è un colpo mortale alle speranze di mantenimento della propria egemonia da parte di Stati Uniti e alleati, che per quanto cerchino di riassorbire influenza in Medio Oriente con la guerra di Libia e la destabilizzazione della Siria (entrambe sono operazioni militari e di intelligence contro interessi cinesi e russi), è il campo asiatico che determinerà il nuovo assetto nei rapporti di forza globali. Ed è quindi normale che la risposta cinese e russa agli Stati Uniti avvenisse nel serrare ulteriormente le fila in Asia e nel creare le condizioni per una sua espulsione della sua presenza militare nel continente.

Il tema chiave dell’incontro della settimana scorsa dei ministri degli Esteri è stato l’Afghanistan, il conflitto afgano e la sua estensione nelle zone tribali del Pakistan da parte degli Stati Uniti e NATO condiziona la tappa di sviluppo prefissata e necessaria per la messa in sicurezza dei confini delle potenze emergenti asiatiche. L’ultima trovata hollywoodiana della CIA nell’imbastire il presunto assassinio del loro ex agente Bin Laden, oltre al lancio della ricandidatura di Obama (avvenuta con la piena collaborazione neocons che avevano appena incassato le nomine al Pentagono ) era finalizzata a screditare e minacciare lo stesso Pakistan, che non solo gode dello status di “paese osservatore” nell’OCS, ma che molti considerano imminente la sua entrata nell’organizzazione in contemporanea a quella indiana, una sorta di scelta obbligata viste le frizioni e le diffidenze che permangono tra i due paesi.

Se è la situazione in Afghanistan a condizionare la nuova tappa di sviluppo dell’OCS, è però nel Pakistan la chiave della risoluzione del conflitto afgano, così come è sempre Islamabad che può determinare le condizioni per un precoce ritiro delle truppe d’occupazione statunitensi, che è la condizione basilare per qualsiasi percorso di pacificazione del paese. Washington alza la voce, minaccia e calunnia, ma difficilmente potrà realmente ostacolare questo processo d’integrazione eurasiatico che richiede l’allontanamento della minaccia militare statunitense dai propri territori. A conferma di ciò che stiamo scrivendo, il ministro degli Esteri russo al suo rientro a Mosca ha parlato in conferenza stampa dell’entrata di Kabul nei paesi osservatori dell’OCS già dal prossimo giugno, così come di nuove possibili candidature.

Nell’establishment russo viene dato il ritiro di Nato e Usa da Kabul come imminente, o comunque in tempi relativamente brevi; questo fa pensare che in realtà dietro l’astensione russa e cinese alla risoluzione 1973 dell’ONU vi fosse una sorta di contropartita asiatica; del resto Obama la guerra in Ak – Pak l’ha persa, un ritiro dopo la messa in scena dell’omicidio di Bin Laden parrebbe quasi come una mezza vittoria da rivendere con buoni risultati nelle presidenziali dell’anno prossimo. Rimane però il tema di fondo che gli Stati Uniti una volta fuori dal continente asiatico saranno più deboli e fragili e il loro declino potrà assumere un’accelerazione dai risultati imprevedibili anche per noi europei, oramai sempre più divisi tra i filo atlantisti (capeggiati dalla Gran Bretagna) e i filo eurasiatici (capeggiati dalla Germania).