«Non permetteremo che il terrorismo ci costringa a cambiare il nostro modo di vita»: così i governanti occidentali hanno risposto alle aggressioni terroristiche dell’11 settembre e del 7 luglio. Ma nel momento stesso in cui proferivano questa minacciosa rassicurazione, cominciavano a smontare le fondazioni stesse su cui il nostro modo di vita si regge: l’habeas corpus, la presunzione di innocenza, il diritto a un regolare processo, la garanzia contro arresti arbitrari e detenzioni segrete, il divieto – per la dirla con la costituzione americana – di «punizioni crudeli e inusuali», cioè di di tortura.Altro che cambiare il nostro modo di vita: il terrorismo ha squarciato il tenue velo dello stato di diritto e ha mostrato quanto fosse precario il sistema di regole che ci ha garantito la convivenza civile negli ultimi secoli. Abbiamo vissuto con certe regole e certi principi, e adesso dobbiamo abituarci a vivere con regole, principi e rapporti tutti diversi e molto più violenti. C’è quasi un senso di sollievo e di liberazione nel gusto con cui uomini politici democratici europei e poliziotti americani si riempiono la bocca di frasi oscene – «sparare per uccidere» – come se il terrorismo avesse infine sciolto i lacci a un linguaggio a mala pena represso da regole faticosamente accettate: altro che presunzione di innocenza, d’ora in avanti vige una presunzione di colpevolezza, punibile anche con pena di morte sul posto senza processo. Invece dell’orrore e della ripulsa, un coro di consensi, democratici e anche di sinistra, ha accolto l’annuncio di Blair sulla limitazione dei diritti umani – come se la Magna Charta di cui la Gran Bretagna e l’Europa vanno giustamente fieri fosse un patto provvisorio, anzi una precaria concessione da accantonare a piacere. La disinvoltura con cui la pratica di esportare la tortura è diventata senso comune (e con cui il nostro parlamento l’ha legittimata, purché non «reiterata») fa rabbrividire: era così sottile il terreno democratico sotto i nostri piedi, così provvisorio il rispetto per la persona umana?
La soddisfazione con cui in nome dell’occidente le classi dirigenti buttano a mare il meglio del patrimonio giuridico e morale dell’occidente svela, insomma, quanta fatica gli costasse rispettare queste regole, quanto fosse recalcitrante la loro accettazione di questi principi. Il diritto riprende la sua vera faccia: non tanto codificazione di principi condivisi e universalmente accettati, quanto compromesso di necessità, imposto dal bisogno di regolare i rapporti fra i capitalisti stessi e, soprattutto, dalla presenza conflittuale delle classi non egemoni.
Ma adesso che il capitalismo non conosce più le sue stesse regole e il liberalismo è diventato guerra per bande senza legge; e soprattutto, adesso che nessuno parla più per il conflitto sociale e i suoi soggetti vengono dati per estinti o almeno obsoleti, adesso che nessuno cerca di costruire un contropotere sociale che imponga dei limiti, i gloriosi principi dello stato occidentale di diritto possono andare a farsi benedire.
In questo processo, l’occidente si spoglia anche di un altro dei suoi veli: la pretesa di universalità dei suoi principi. Sia ben chiaro, era spesso una foglia di fico dell’imperialismo, ma una foglia di fico a qualcosa serve e l’ipocrisia è comunque un omaggio alla virtù: l’occidente doveva almeno fingere di giocare con regole uguali per tutti (e quindi legittimare il richiamo ad esse da parte degli altri).
Adesso non è più così: quando Bush proclama che lo standard di vita americano non è negoziabile, non ha certo in mente l’espansione dell’uguaglianza ma l’arroccamento del privilegio (e infatti: i lavoratori del Wal Mart e dello Homeland Security Department non hanno diritto al sindacato, così non gli salterà in mente di negoziare il loro standard di vita americano).
E l’esistenza della tortura in molti paesi smette di essere un problema morale e politico, e diventa una risorsa: noi certe cose a casa nostra non le facciamo, ma per fortuna c’è qualcuno a cui appaltarle, a difesa del nostro modo di vita e dei nostri valori.
D’altra parte, quando parlano del modo di vita – anzi, dello stile di vita occidentale – le nostre classi dirigenti non hanno per niente in mente le regole della convivenza sociale,ma i nostri consumi e le nostre abitudini. Quello che non è negoziabile non è il diritto alla privacy e la libertà di parola, pensiero e religione, ma il basso costo della benzina e dei telefonini.
Anche per questo, l’opinione pubblica occidentale ha a sua volta rinunciato implicitamente all’idea che i principi e le regole devono valere per tutti: quel che conta è che proteggano noi. La demolizione dello stato di diritto passa per la persuasione di massa che questo processo riguarderà solo gli altri, le signore col chador arrestate sul vaporetto di Venezia – cioè, che esisteranno due ordini impliciti di legislazione, una legge per bianchi cristiani e una per miscredenti col colore sbagliato, che ci risospinge indietro di quattro secoli ai tempi del cuius regio eius religio. Ma c’è poco da stare tranquilli comunque: una volta che i principi cadono, cadono per tutti.
Chissà, forse il primo a leggere queste righe non sarà il redattore del manifesto a cui le mando per e mail, ma qualche funzionario che, in nome della mia sicurezza, avrà il diritto di leggere la mia – un tempo inviolabile – corrispondenza personale.