Per quanto Rifondazione sia Bertinotti, c’è nel partito un’area di dissenso interno più corposa di quanto non si pensi. C’è chi non vuole proprio l’alleanza con Prodi e chi ne contesta il metodo e chi ne vede i rischi. La componente più pesante è quella dell’Ernesto: un’area che si è raccolta sin dalle origini intorno all’omonima rivista e che, nel momento della scissione, pur avendo una radice cossuttiana, ha appoggiato Bertinotti: «Siamo emersi come componente neocomunista vera e propria nell’ultimo congresso, presentando quattro emendamenti e ottenendo tra il 25 e il 30 per cento dei consensi», spiega il suo rappresentante Claudio Grassi, nella segreteria del Prc fin dal ’95. Uno di questi emendamenti riguardava proprio il grado critico con cui rilegge la storia comunista: «Per Bertinotti i grandi comunisti del Novecento sono morti anche politicamente, io credo che sia un’analisi sbagliata», dice Grassi, «credo che Gramsci abbia ancora molto da dirci». All’avvicinarsi del congresso, l’area dell’Ernesto comincia a delineare il proprio dissenso.
Presenterà una sua mozione?
Ufficialmente ancora non c’è, ma ci sarà, viste le differenze sulle scelte dei prossimi mesi.
Quali sono le differenze?
Dall’ultimo congresso a oggi siamo passati da un opposto all’altro: prima si teorizzava l’impossibilità dell’alleanza, oggi di dà per acquisita. Servirebbe più gradualità. Non c’è ancora stato un confronto programmatico. Bisogna certo trovare un’intesa per cacciare Berlusconi. Ma dovremmo dire che stiamo al governo solo a precise condizioni.
Quali?
Il no alla guerra, anche se deliberata dall’Onu è una discriminante totale. Poi c’è l’abrogazione delle leggi Bossi Fini, Moratti, lavoro e pensioni. Chiediamo una nuova scala mobile e un impegno per varare una legge per democrazia nei luoghi di lavoro, ossia permettere ai lavoratori di votare i contratti, come chiede per esempio la Fiom.
Bertinotti dice che l’alleanza è un processo in corso.
Noi riteniamo che, vista l’esperienza del ’96, non possiamo permetterci di trovarci davanti a scelte di politica economica improntate al liberismo.
Bertinotti dice che l’asse del centrosinistra si è spostato a sinistra.
Io ritengo che il Listone non abbia sostanzialmente modificato gli orientamenti politici. Lo si vede dalle posizioni delle segreterie.
Cosa ne pensa dell’ultima mozione sull’Iraq?
Lascia un po’ a desiderare, è un passo indietro rispetto a quella di giugno.
L’abbraccio con Prodi rischia di far perdere consensi a sinistra?
Il rischio c’è. Se noi non riusciamo a tenere fermi gli obbiettivi che ci caratterizzano, corriamo il pericolo di perdere non solo la nostra fisionomia, ma anche l’appoggio delle forze sindacali e dei movimenti.
Non siete solo voi a criticare la linea del segretario. Quanto conterà questo al prossimo congresso?
Bertinotti è Bertinotti e Rifondazione coincide con lui, questo è vero. Ma all’interno ci sono più componenti che non condividono tutte le sue scelte. Le varie aree di dissenso rispetto alla sua linea valgono il 45 per cento negli equilibri interni. L’esito quindi, non è così scontato.