Occhi sociali sul congresso

Le anime del movimento si confrontano e si dividono sulla «revisione» bertinottiana

Su un punto sono tutti d’accordo: il congresso di Rifondazione comunista che si apre oggi a Venezia rappresenta, più che una svolta, «uno strappo nella cultura politica» del partito nato dalla dissoluzione del Pci. E di strappo parla, sul settimanale Carta, Marco Revelli, ricordando le «innovazioni» di Fausto Bertinotti, coraggiose perché potevano provocare, e in parte hanno provocato traumi dentro l’organizzazione. I punti di rottura sono quelli noti e che hanno attraversato il dibattito congressuale: dalla scelta della non-violenza, alla netta collocazione del Prc all’interno dello schieramento antiberlusconiano, in poche parole nell’Unione. Ma il dibattito aperto dalla revisione teorica e pratica di Bertinotti è uscito dalle strettoie del partito e dalle ritualità terzinternazionaliste per investire, nel bene o nel male a seconda dei soggetti coinvolti, la costellazione dei movimenti che negli ultimi quattro anni, dal luglio genovese, hanno animato il conflitto e il protagonismo sociale in Italia. «Seguirò con interesse il congresso del Prc – ci dice il presidente dell’Arci Paolo Beni – che ha svolto e può continuare a svolgere un ruolo attivo nei movimenti, nel rifiuto della guerra come nella battaglia in difesa dei diritti. Potrei dire che Rifondazione è la forza politica più vicina alla discussione aperta nei movimenti. Attenzione, però, alla salvaguardia dell’autonomia di questi soggetti sociali». Anche la svolta «governista» di Bertinotti è importante per Beni: «La costruzione di una grande alleanza per battere Berlusconi dev’essere supportata da un progetto realmente alternativo. Di quell’alleanza Rifondazione, insieme ad altri, può essere una gamba importante, un punto di tenuta rispetto all’agenda dei movimenti sociali. Senza dimenticare che la politica non si esaurisce nelle alleanze elettorali e nei partiti». Poi c’è la non-violenza, che qualche scompiglio ha creato almeno in alcuni settori del movimento no global… «Apprezzo lo sforzo di Bertinotti, la non-violenza può essere più radicale e incisiva di altre forme di lotta che pure sono nel bagaglio culturale delle sinistre. Ma questo punto merita una riflessione più attenta e meditata, meno urlata e semplificata, da tutte le parti».

Se c’è un luogo in cui la revisione bertinottiana ha incontrato più ostacoli, questo è il composito arcipelago della disobbedienza civile. A un Francesco Caruso a cui il «patto Fausto-Romano» non dispiace affatto, in quanto potrebbe liberare «grandi spazi di agibilità, iniziativa, azione alla sinistra antagonista», si contrappone un «incazzato» Luca Casarini che lo bolla come «addomesticato». Casarini ribadisce la «rottura politica e culturale» con il Prc, «almeno io parlo per me e per l’area del Nordest, è finita la stagione dei portavoce, ognuno si esprime a livello individuale o per la comunità con cui opera». Dopo Genova, Casarini aveva sperato in una trasformazione del tutto diversa del partito, in chiave di struttura per il movimento, un partito «al servizio dei movimenti, l’opposto di chi pensa al partito-movimento-governo. Il movimento pone da tempo al centro del dibattito il superamento della delega politica attraverso la costruzione di nuove forme di democrazia, oltre i riti elettorali. Sbaglia chi pensa che un partito possa rappresentare il movimento, non è certo questa la domanda sociale. Semmai, ripeto, servono sponde politiche». Dell’accordo con Prodi, poi, a Luca Casarini non gliene «frega niente, a Fausto dico che se andrà a gestire i Cpt noi li assalteremo ugualmente». Ma la bestia nera resta la non-violenza: «Io sto con Walden Bello, è tempo di passare dalla testimonianza alla disobbedienza. Disobbedienza vuol dire violare l’ordine delle cose». Inevitabilmente si finisce per parlare di «resistenza», non solo in Iraq ma anche in casa nostra quando «la disobbedienza trova la guerra dall’altra parte». La distanza è radicale con il processo avviato da Bertinotti e con le riflessioni di Revelli, forse incolmabile.

«Dal punto di vista della Cgil – dice Paolo Nerozzi, uno dei segretari confederali più contaminato (e contagioso) nel rapporto con il diffuso conflitto sociale italiano – sarebbe importante che dal congresso il Prc si rilanciasse la centralità del lavoro. Nel programma dell’Unione, Rifondazione dovrebbe fare attenzione ai contenuti delle battaglie sociali e all’autonomia del movimento che rivendica un allargamento della democrazia e della partecipazione, l’opposto della delega della politica ai partiti. Per quanto riguarda la non-violenza, e la pace, mi auguro una ricerca teorica più approfondita».

l lavoro è anche il rovello di Gianni Rinaldini, segretario generale della Fiom, il sindacato più «compromesso» con i movimenti pacifisti e antiliberisti: «Vado al congresso del Prc con l’atteggiamento di chi è dentro un terreno di iniziativa e ricerca per la costruzione di una nuova soggettività politica, a partire dal lavoro, che sia in grado di costruire un’idea alternativa al liberismo. Insieme, serve oltre a uno schieramento anche un programma in grado di battere Berlusconi che rappresenta in Italia l’applicazione più succube del modello sociale americano. Il passaggio più delicato è il ruolo che Rifondazione svolgerà nel governo, in rapporto alla radicalità e alla partecipazione sociale».

Conflitto sociale, conflitto di classe e conflitto ambientale. Sul terzo corno si sofferma Roberto Della Seta, presidente di Legambiente: «A prescindere dall’impegno direi quasi istituzionale dei Verdi – che lo si giudichi bene o male – Rifondazione è la forza politica che presta più attenzione ai temi legati all’ecologia. Pensa al carbone e ai suoi nuovi fans, dai Ds alla Margherita, allo stesso Prodi. Il Prc si muove invece su una strada che è la nostra. Mi trovo d’accordo con molte delle scelte di Bertinotti, persino la sobrietà come stile di vita è una prospettiva su cui lavorare insieme. Anche in relazione allo scenario italiano e all’esigenza di costruire un’alternativa credibile a Berlusconi, condivido la strada imboccata dal Prc. C’è un punto invece da approfondire: noi di Legambiente crediamo che le contraddizioni in ambito ambientale con possano essere lette con le stesse categorie con cui si leggono le contraddizioni sociali, perché esiste un’autonomia della questione ambientale non riconducibile al binomio o al conflitto sfruttati-sfruttatori».

Se la convinzione che «il programma dei movimenti sia l’unica alternativa allo stato di cose presenti» non riduce l’attenzione e l’interesse di Marco Revelli alla revisione bertinottiana, ben altri toni si sentono dalle parti dei Cobas. Piero Bernocchi, per esempio, andrà a Venezia «con atteggiamento decisamente negativo, intanto per la scelta di consegnarsi senza condizioni a un centrosinistra che non è certo migliorato rispetto agli anni in cui governava l’Italia. Per non parlare delle parole in libertà sulla non-violenza a proposito della resistenza irachena. Cose fuori dal mondo, e persino da Porto Alegre».

Buon congresso a tutti.