Obiettivo Palestina

Oggi in Libano, domani a Gaza? Sì, ha detto il ministro degli esteri Massimo D’Alema al giornale israeliano Haaretz. E ieri il segretario dell’Onu KofiAnnane il premier italiano RomanoProdi, parlando di Libano, hanno finito quasi inevitabilmente per concordare sulla centralità della questione Palestina. Se lamissione nel sud libanese – pur con tutti i rischi e le trappole che l’ambiguità della risoluzione 1701 nasconde – finisse con qualcosa che somigli aunsuccesso, l’ipotesi di una forza di pace dell’Onu, possibilmente a guida europea, acquisterebbe peso e sarebbe più difficile per Israele (e il suo alleato automatico) sostenere il prevedibile rifiuto. Per questo la prova del Libano, così importante, potrebbe essere solo un aperitivo. Per il Libano, spianato ma non vinto dal furore israeliano, e per l’intero Medio Oriente che la politica americana di «guerra al terrorismo» e di «esportazione della democrazia» ha reso ancor più esplosivo di quanto non sia stato nell’ultimo mezzo secolo. Il test libanese, se venisse superato, potrebbe – anzi dovrebbe – aprire al strada al vero nodo, finora inestricabile, che ha impedito qualsiasi «normalizzazione » (e anche «democratizzazione ») del Medio Oriente. La questione palestinese. Il «rifiuto arabo» – al di là delle insopportabili escandescenze verbali di un Ahmadinejad – è ormai roba del passato per gli Stati mediorientali che, o per convenienza o per debolezza, si sono rassegnati finalmente all’esistenza di uno stato ebraico che pure rivendica la sua estraneità. E forse anche per i fondamentalisti palestinesi di Hamas che gli israeliani preferiscono ammazzare o sequestrare (compreso il governo) anziché sfidare a un negoziato diverso da unaresa senza condizioni impossibile da accettare. Dal momento che è il «rifiuto israeliano» il vero muro alla creazione diuno Stato di Palestina che non sia un ghetto, una prigione o un bantustan – forse con le uniche eccezioni di Moshe Sharret negli anni 50 e di Ytzhak Rabin negli anni 90, entrambe finite male -, di tanto in tanto si tenta di nascondere che quello palestinese resta il problema dei problemi del Medio Oriente. Israele, finché andrà avanti con i suoi sogni e le sue paure, non sarà mai sicuro né accettato in Medio Oriente (e nel mondo musulmano) e l’America, finchénon si smarcherà dall’automatismo filo-israeliano, non riuscirà mai a imporre la sua egemonia in Medio Oriente (e nel mondomusulmano), se non ricorrendo alla «guerra preventiva», come in Iraq e Afghanistan, o a impresentabili vassalli, come in Arabia saudita, Egitto, Giordania, Kuwait… Questa, la loro, è la strada che porta dritta alla guerra di civiltà un conflitto che invece è sempre stato, ed è più che mai oggi, politico. L’Europa, che ha sulle spalle la colpa storica dell’Olocausto e la responsabilità di evitare che Israele faccia la fine degli antichi regni crociati, sembra a volte capire meglio degli Stati uniti che la strada deve essere un’altra. Da noi l’ha capito gente come D’Alema, Prodi e Andreotti, che vengono bollati come filo-arabi solo perché non sono ciecamente filo-israeliani. E sanno benissimo che senza una soluzione accettabile eminimamente equa, il virus Palestina impedirà qualsiasi stabilizzazione duratura inMedio Oriente e potrebbe far saltare in aria tutto. Non escluso Israele.