Obama rappresenta realmente un cambio nella politica estera degli Stati Uniti?

L’ubriacatura di questi giorni del post elezione di Barack Obama ha fatto dire a tutti di tutto per cui adesso pensiamo sia ora di ragionare un po’ con tranquillità su questa elezione e sulle cose che si dovrebbero fare. Il primo vero dato certo è che il peggior presidente degli Stati Uniti George W. Bush non siederà più alla Casa Bianca. Il secondo dato è che la presidenza torna dopo 8 anni nelle mani dei democratici, e nel caso specifico è per la prima volta di un nero.
Queste due banali osservazioni sono per adesso le uniche due cose certe. Per il resto occorre aspettare. Aspettare cioè di capire quanta autonomia Obama ha, o vuole o può avere, rispetto alle grandi multinazionali e lobbies che dominano la politica, soprattutto, estera degli Usa. Sicuramente in politica interna Obama forse avrà spazi maggiori ma noi ci occupiamo di politica estera e su questo rimaniamo.
Sicuramente alcune delle idee enunciate in campagna elettorale, se pur non centrali rispetto alla stessa, ci dicono che su Cuba vorrà dialogare con Raul Castro. Bene noi auspichiamo la fine del blocco più longevo, illegale e illegittimo della storia moderna e il rilascio dei cinque cubani che combattevano il terrorismo internazionale e che da dieci anni sono nelle galere Usa dopo processi farsa e la violazione dei loro diritti umani e civili. Inoltre, come ricordavano nello scorso numero di Oltre Confine, i temi del Medio Oriente (Siria e Libano oltre all’Iraq e alla relazione con l’Iran); quello inerente i palestinesi e i loro diritti violati da decenni da Israele, con la copertura e sostegno degli Usa, e oggi Obama ha nominato di un “duro” filo israeliano come Rahm Emanuel quale capo dello staff presidenziale, in pratica il suo braccio destro, che non promette molto di buono; e poi i rapporti con la Russia, la Cina e l’Unione Europea, la nuova “guerra fredda” in Africa, la riorganizzazione in senso democratico delle grandi istituzioni internazionali, lo scudo spaziale di Bush ecc. ecc. sono altri temi che ci potranno far capire se Obama rappresenta davvero un cambio storico oppure come, sempre capita, il presidente democratico rappresenta una delle due corrente del “partito unico” che governa gli Usa da sempre. L’altra corrente ovviamente sono i repubblicani.
Questione di classe e questione razziale. E’ di grande rilevanza che finalmente i neri degli Usa abbiamo un loro presidente però questo da solo non basta. Infatti tutti noi ricordiamo che Colin Powell e Condoliza Rice, tanto per fare due nomi, sono due persone che, non erano presidenti degli Usa, ma hanno avuto un grandissimo potere reale nelle passate Amministrazioni statunitensi, e sono neri e hanno posto in essere politiche militariste e imperialiste. Così come troppo spesso negli Usa la questione razziale è basata ormai da molto tempo sul fatto che se sei nero ma ricco le cose vanno bene (e Obama ne è solo l’esempio più eclatante), ma se sei povero e nero le cose vanno doppiamente male. Vale a dire la questione di classe è preminente su quella prettamente razziale. Occorre dunque di più al solo fatto di essere neri per cambiare davvero in senso progressista e democratico il mondo e gli Usa. In ogni caso, a scanso di equivoci, siamo contenti di questo passo indubbiamente positivo e rilevante fatto dagli elettori statunitensi, stanchi di Bush, che hanno partecipato in massa alle elezioni, cosa molto difficile e rarissima negli Stati Uniti.
Un punto importante del mandato presidenziale di Obama è sicuramente quello rappresentato dal fatto che gli Usa inizino a cambiare il loro modello politico-culturale prima ancora che squisitamente politico. E’ un compito difficilissimo ma su quello si potrebbe misurare la reale portata storica della presidenza del primo nero degli Usa. Le rigidità del “modello” imperialista statunitense. In ogni caso sappiamo che le rigidità del sistema statunitense così legate alla necessità del controllo delle risorse energetiche e finanziarie del mondo, come passaggio fondamentale per la loro sopravvivenza, è un dato inequivocabile della politica Usa. In questi otto anni gli Usa hanno adoperato principalmente il mezzo unilaterale della guerra “preventiva o/e permanente” per controllare e/o occupare direttamente attraverso la forza militare i settori del mondo per loro fondamentali. Creando anche instabilità croniche che sono per loro esiziali per scomporre e ricomporre nuovi scenari internazionali favorevoli ai loro interessi.
Un altro sistema, molto usato in passato durante la “guerra fredda”, era la difesa dei propri interessi nazionali attraverso il conflitto per interposta nazione, cioè erano gli stati dell’Africa, dell’Asia, dell’Europa, dell’America latina che si confrontavano militarmente ed economicamente a vantaggio degli Usa o dell’Urss. Non vorremmo che con la copertura della lotta cosiddetta lotta al “terrorismo internazionale”, il dialogo di cui parla Obama sia, alla fine, uno strumento per scaricare magari sull’Europa il peso di sostenere missioni, occupazioni e guerre per loro conto in vari scenari del pianeta. E le prime analisi di rappresentanti del governo e della cosiddetta opposizione come Fassino e Veltroni, ma non solo, danno adito a una simile negativa interpretazione.
La necessità di un dialogo vero, dialettico.
La speranza è che il dialogo di cui parla Obama sia, invece, un dialogo dialettico dove si ascolti e si interagisca non solo con i partner della “triade capitalistica” (Giappone, Europa e appunto Usa) ma sia un dialogo aperto e vero dove si possa iniziare a ricostruire una legalità internazionale e un osservanza del diritto come bussola centrale. Posizionare di nuovo la diplomazia e non le armi al centro delle relazioni fra gli stati per superare la leadership unilaterale statunitense a favore di un vero multipolarismo. Noi speriamo che ciò possa accadere, ma abbiamo la consapevolezza che non esistono “uomini della provvidenza” che possono risolvere i problemi da soli. Occorre riallacciare il discorso dentro una comunità internazionale umiliata dagli Usa in questi lunghi anni e occorrono dei fatti concreti che ci possano far capire che la musica è cambiata.
Obama inizi subito con fatti concreti. Obama allora inizi da Cuba liberandola dal blocco e rimettendo in libertà i Cinque; agisca in modo determinato per la pacificazione del Medio Oriente attraverso l’osservanza delle risoluzioni ONU per dare al martoriato popolo palestinese una soluzione giusta ed equa alla loro causa. Collabori con l’America latina accantonando per sempre la politica del “cortile di casa”; si ritiri immediatamente dall’Iraq e ponga fine anche all’occupazione dell’Afghanistan; dialoghi con l’Iran; collabori per ridare spazio e autonomia all’ONU e pensi che le forme democratiche che un popolo sceglie sono quelle che più si addicono alla loro storia, alla loro cultura, ai loro bisogni e la smetta di esportare quella occidentale sulla punta delle baionette. E, infine, l’Europa la smetta di essere la serva sciocca degli Stati Uniti perché facendo questo aiuterebbe i suoi popoli e anche Obama ad essere un presidente migliore di quelli precedenti.

*Vice resp. Esteri PdCI