(Traduzione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova)
23 maggio 2011
Per anni, i presidenti americani hanno assunto una posizione debole rispetto alla costruzione illegale degli insediamenti per i coloni israeliani, ma nessuno era andato tanto vicino come Obama ad una effettiva loro legittimazione [Gallo / Getty]
Nel 2008, Barack Obama, il candidato democratico alle elezioni presidenziali, in un discorso rivolto all’American Israel Public Affairs Committee (AIPAC), assecondava gli elettori filo Israeliani ed Israele con la promessa che Gerusalemme sarebbe rimasta per sempre “la capitale indivisa di Israele”.
Tre anni dopo, Obama batte un altro sentiero prima della campagna elettorale, al fine di migliorare le sue possibilità per la rielezione nel 2012. Come parte di questa campagna, ha messo in atto un nuovo ciclo di tiepidi tentativi per far rivivere il “processo di pace”, in una fase di stallo, completamente sotto le condizioni imposte da Israele.
Nel suo ultimo discorso rivolto all’AIPAC, Obama ha promesso a Israele che gli Stati Uniti riaffermavano il loro impegno in favore degli obiettivi politici e della sicurezza di Israele. Il suo discorso negava il diritto dei Palestinesi di dichiarare unilateralmente il loro Stato, e per di più affermava solennemente che avrebbe bloccato tutti i tentativi pacifici dei Palestinesi di rivendicare i loro legittimi diritti presso le organizzazioni internazionali.
L’appoggio, solo a parole, di Obama all’“autodeterminazione” palestinese non è altro che vuota retorica – visto come ha fatto chiaramente intendere che gli interessi di Israele, in particolare la sua sicurezza, rimangono la priorità assoluta per la politica estera usamericana nella regione.
Ha ripetuto meccanicamente il suo impegno per la visione di una soluzione a due Stati – la creazione di uno Stato palestinese accanto a quello di Israele. Tuttavia, come previsto, ha lasciato i confini e i termini della creazione di un tale Stato dei Palestinesi assoggettati agli “interessi sicuritari” di Israele.
Il suo riferimento a riprendere i negoziati di pace sulla base dei confini del 1967 (anche noti come Linea Verde) non implica né un completo ritiro israeliano dai territori occupati, né la creazione di uno Stato palestinese sovrano su tutte le terre all’interno della Linea Verde, inclusa Gerusalemme Est. Vi è una differenza significativa nel “trattare i termini” del negoziato, e anche nel linguaggio giuridico, tra il dire che la creazione di uno Stato palestinese “si baserà” sui confini del 1967 rispetto al dire che “sarà istituito” sui confini del 1967. La prima modalità di espressione “giuridica” lascia ampio spazio ad Israele di continuare a occupare, e anche ad annettersi vasti blocchi di insediamenti (e forse anche tutti gli insediamenti illegali dei coloni israeliani nella West Bank e a Gerusalemme Est), per “motivi di sicurezza”.
Prendetevi quello che volete
Qualora il fondamento del suo sostegno a favore di Israele venisse frainteso nelle dichiarazioni sottilmente velate presenti nel suo discorso sul Medio Oriente dello scorso venerdì, Obama ha fatto in modo di chiarire definitivamente il suo punto di vista filo-israeliano, che non è possibile tornare indietro agli originali confini del 1967:
“La dichiarazione esprime il fatto che siano le stesse parti – Israeliani e Palestinesi – a negoziare un confine, che sarà diverso da quello che esisteva il 4 giugno, 196 … Così, viene consentito alle parti stesse di tenere conto dei cambiamenti che hanno avuto luogo negli ultimi 44 anni, tra cui la nuova realtà demografica.”
In termini più chiari, il presidente Obama sta efficacemente, anche se non esplicitamente, equiparando la presenza dei Palestinesi sulla loro terra con la presenza illegale dei coloni israeliani, che vivono sulle terre confiscate ai Palestinesi, 44 anni fa.
In sostanza, nonostante il fatto che i coloni vivano su quelle terre illegalmente secondo il diritto internazionale, visto che sono fisicamente lì, la terra diventa loro! Ciò conferma la convinzione di molti nella regione, che la costruzione degli insediamenti e del Muro di Separazione all’interno dei confini del 1967 sia il modo di Israele di lentamente completare l’annessione de facto del territorio palestinese.
Quest’ultima fra tutte le dichiarazioni di Obama può essere la più aderente da parte del presidente alla legittimazione degli insediamenti israeliani illegali.
Il messaggio di Obama lanciato ad Israele sembra confermare che egli è pronto a mantenere le promesse fatte nel 2005 dall’ex presidente George Bush , che Israele avrebbe potuto conservare i grandi blocchi di insediamenti dei coloni, come risultato di qualsiasi soluzione negoziata del conflitto. In altre parole, l’idea di Obama di “autodeterminazione palestinese” è quella che i Palestinesi devono accettare qualsiasi decisione di Israele.
Nel suo discorso all’AIPAC, e nel discorso precedentemente indirizzato al Medio Oriente, Obama dava l’impressione, o di avere perso i contatti, o di avere semplicemente ignorato i cambiamenti provocati dalla Primavera Araba.
Per il momento, egli sosteneva che Israele doveva capire che la Primavera Araba aveva alterato gli equilibri politici nella regione, e che era ora di fare la pace, non con i leader arabi corruttibili, ma direttamente con gli stessi popoli arabi.
Basta con le speranze di cambiamento
In effetti, quando tratta della causa palestinese, Obama sta parlando e agendo come se la Primavera Araba non fosse mai avvenuta. Egli dovrebbe ricordare che anche gli alleati arabi della regione più fedeli agli Stati Uniti non possono sostenere apertamente la formula israelo-statunitense per la pace con i Palestinesi. Quindi, perché allora questa soluzione sarebbe accettabile per i milioni di Arabi filo-palestinesi?
La Primavera Araba può aver influito sulla semantica del discorso usamericano sui diritti dei Palestinesi, ma non ha prodotto nulla di simile a un reale spostamento nelle politiche degli Stati Uniti.
Ancora una volta, Obama ha ceduto al ricatto politico di Netanyahu – il cui principale obiettivo nel sollevare obiezioni al processo di pace è quello di assicurare ad Israele di continuare indisturbato nelle sue politiche espansioniste, per nulla influenzato da un qualche effettivo timore suscitato dalle deboli richieste del presidente.
Sì, non ci sono dubbi, nel discorso di Obama Netanyahu vuole che sia lasciato cadere qualsiasi riferimento ai confini del 1967, perché Israele è attualmente occupato a delineare i propri confini futuri con l’imposizione militare, egli non può non avere capito che le dichiarazioni di Obama sono chiaramente filo-israeliane.
Come il presidente usamericano ha sottolineato nel suo intervento, con la sua dichiarazione Obama ha espresso il “pieno impegno” in favore degli interessi e dei bisogni di sicurezza di Israele:
“Ecco perché abbiamo accresciuto la cooperazione tra le nostre forze armate a livelli senza precedenti. È per questo che stiamo mettendo a disposizione dei nostri alleati israeliani le nostre più avanzate tecnologie. Ed è per questo, nonostante le difficili congiunture di bilancio, che abbiamo aumentato il finanziamento militare per l’estero a livelli record.”
Obama, non solo è stato coerente nel mantenere il pieno appoggio degli Stati Uniti per Israele, ma ha anche articolato un nuovo più deciso atteggiamento, che conferma esplicitamente la politica di lunga data usamericana di bloccare qualsiasi tentativo palestinese per la pace, attraverso il diritto internazionale e le Nazioni Unite.
“…Gli Stati Uniti si opporranno contro i tentativi di isolare Israele alle Nazioni Unite, o in qualsiasi forum internazionale. Dato che la legittimità di Israele non è materia di discussione!”, ha promesso al raduno dei sostenitori più fedeli e più influenti di Israele.
Schierandosi con Israele contro il piano dell’Autorità Palestinese, che cerca dalle Nazioni Unite il riconoscimento di uno Stato palestinese sui confini del 1967, gli Stati Uniti hanno di fatto dichiarato guerra a tutti i Palestinesi, all’Autorità Palestinese, come pure agli attivisti per il diritto della Palestina ad esistere.
Obama, imperterrito, vanificherà ogni sforzo dei Palestinesi per perseguire con mezzi legali e pacifici la messa in discussione della costante colonizzazione israeliana della loro terra.
Invece, etichettando tali campagne finalizzate al riconoscimento di uno Stato palestinese come un tentativo di “delegittimare” Israele, il presidente sta riconoscendo, senza rendersene conto, che è la politica israeliana a mancare di legittimità.
Un discorso basato sui diritti?
Inoltre, per quanto l’affermazione di Obama, che non basta il riconoscimento da parte dell’ONU per creare uno Stato palestinese, sia tecnicamente vera, comunque questo dovrebbe riportare la questione all’interno di un discorso giuridico sui diritti – che non potrebbe essere condizionato più da preoccupazioni sulla sicurezza di Israele, come nel passato.
Il riconoscimento da parte delle Nazioni Unite, naturalmente, lavorerebbe in favore dell’istituzione di uno Stato palestinese definito dai confini del 1967 – e questo potrebbe significare che tutti gli insediamenti israeliani all’interno di quei confini dovrebbero essere evacuati. Senza questo, sarebbe solo un legittimare e perpetuare la formula israelo-statunitense del negoziato.
Ma Obama non vuole prendersi alcun rischio al fine di promuovere la pace.
Egli teme di vedere cancellati decenni di politiche usamericane, che hanno avuto l’obiettivo di porre il veto a qualsiasi risoluzione delle Nazioni Unite riguardante i crimini di Israele, e di iniziare un nuovo discorso sul conflitto basato sui diritti.
Non è stata nemmeno una sorpresa quando Obama ha dichiarato che l’accordo di riconciliazione tra Fatah e Hamas, firmato all’inizio di questo mese, costituiva un “ostacolo” alla pace nella regione. Dopo tutto, nella sua posizione mentale puramente filo Israele, qualsiasi tentativo di unità nazionale palestinese – a prescindere da quanto debole – non serve agli interessi di Israele, che con il suo collaudato metodo del “divide et impera” ha impedito per anni progressi concreti.
Il ritornello ripetuto da Obama su Hamas come partner inaccettabile per la pace suona non solo come un disco rotto, ma anche come una scusa che non sta in piedi per l’estremismo e l’intransigenza di Israele.
Se lui desidera sapere chi sono i veri partner inaccettabili per la pace, tutto quello che deve fare è ottenere una trascrizione in inglese delle discussioni all’interno della Knesset (il parlamento israeliano) e leggere come i membri della destra politica definiscono “animali” gli Arabi e tutti i modi in cui vengono lanciati insulti razzisti contro i Palestinesi.
Ma se Obama è disposto a favorire le politiche israeliane come i “trasferimenti via terra”, con i quali si intende deportare intere comunità palestinesi, e fa riferimento a tutto questo come semplici “cambiamenti demografici”, allora perché dovrebbe preoccuparsi della retorica razzista e delle minacce da parte degli Israeliani di destra?
Nel suo ultimo discorso, Obama non ha fatto riferimento una sola volta agli accadimenti avvenuti durante le proteste del 15 maggio, “Giorno della Nakba”. Durante queste manifestazioni pacifiche in ricordo della Catastrofe, i militari israeliani hanno risposto in modo prevedibile, nel solo modo che conoscono – sparando indiscriminatamente sui manifestanti disarmati. Alla fine della folle sparatoria, oltre 20 persone sono state uccise sui confini siriano e libanese.
Forse la parte più inquietante del discorso di Obama sta nel tentativo sfacciato di fare sua la narrazione israeliana e, per impostazione preconcetta, nella sua completa negazione del diritto dei Palestinesi a costituirsi in nazione.
Alla fine del suo discorso, l’affermazione di Obama che la storia di Israele può essere caratterizzata da una lotta per la libertà (una ripetizione dal suo discorso del 2008 all’AIPAC) ci dice tutto:
il presidente degli Stati Uniti si rifiuta di vedere l’oppressione e la repressione ad opera di Israele; si rifiuta di riconoscere la legittimità della lotta palestinese per la libertà – perché se lo facesse, potrebbe compromettere di sicuro le sue possibilità di conquistare un secondo mandato come presidente degli Stati Uniti.
Lamis Andoni è un analista e un commentatore sulle questioni del Medio Oriente e della Palestina.