Nuovi scenari in Ucraina

Un’interessante analisi di Leonid Grac, alla vigilia della crisi politica a Kiev

Per comprendere come, almeno in parte, nel precipitare della crisi politica ai vertici dell’Ucraina abbiano giocato anche fattori di politica internazionale, occorre concentrare l’attenzione sugli sviluppi delle relazioni con il grande vicino russo e, più in generale, con gli altri paesi dello spazio post-sovietico.
A tal proposito Leonid Grac, leader comunista della Crimea e tra i massimi dirigenti del Partito Comunista di Ucraina (KPU), pochi giorni prima dell’esplosione della crisi a Kiev, interveniva il 1 settembre su “Kommunist Kryma” (Il Comunista della Crimea), organo locale del KPU, con un articolo (dal titolo eloquente “L’Ucraina è stata rimorchiata”) a proposito della recente riunione (Kazan, fine agosto 2005) dei capi di stato del cosiddetto “Spazio economico unico”, in cui i presidenti di Russia, Belarus e Kazakhstan hanno deciso di rilanciare il dialogo con l’Ucraina, che aveva subito un brusco rallentamento in seguito all’avvento al potere di quelle fazioni politiche (nazionaliste e ultraliberiste) che, nelle loro prese di posizione più recenti, hanno espresso addirittura l’intenzione di abbandonare il processo già avviato di integrazione con gli altri stati ex sovietici e di operare una definitiva scelta unilaterale in senso filo-occidentale.
I leader dei tre paesi della CSI, accettando un formato più ridotto del patto comunitario (3+1), “in cui siano possibili tempi e forme di integrazione diversi tra i suoi partecipanti” e cercando così di non interrompere l’importante rapporto di collaborazione economica con l’Ucraina, hanno in cambio ottenuto l’impegno del suo nuovo presidente (peraltro forzato anche dalla assoluta dipendenza energetica dalla Russia e dal fallimento delle trattative con altri fornitori di gas e petrolio dell’Asia Centrale, come il Turkmenistan) a proseguire le trattative in merito agli sviluppi futuri di questo organismo economico sopranazionale.
Tale conclusione del vertice di Kazan, secondo Grac, “mette la parola fine alla disputa sulla partecipazione dell’Ucraina allo Spazio economico unico”, venendo incontro alle aspettative della “grande maggioranza dei cittadini che vogliono l’inclusione dell’Ucraina nello spazio comune”. “La firma da parte di Juschenko –prosegue Grac – di alcuni documenti, ha confermato la decisione strategica assunta in precedenza in merito alla collaborazione in ambito comunitario”.
Grac esprime apertamente un giudizio di apprezzamento per il significato dell’abile mossa tattica di Putin, Lukashenko e Nazarbajev, (“…A Kazan è stato fatto un passo significativo in direzione dell’integrazione da lungo tempo attesa dai popoli dei paesi dello “Spazio unico”. E’ particolarmente importante che Russia, Bielorussia e Kazakhstan proseguano il loro cammino senza rallentamenti”), partendo dalla convinzione che qualsiasi segnale di disponibilità a collaborare con l’Ucraina non può che mettere in difficoltà i settori più oltranzisti dello schieramento filo-USA (in particolare, quelli vicini a Julija Timoshenko, che, certamente, è la più importante “vittima” dell’epurazione operata dal presidente ucraino).
Grac sembra anche voler attribuire valore al ruolo che assumerebbe, nel parlamento e nel paese, l’iniziativa di pressione dell’intero schieramento di opposizione all’attuale regime (con il partito comunista partecipe di un vasto fronte favorevole alla collaborazione con la Russia e con gli Stati ad essa vicini), che vedrebbe certamente convergere anche tutte quelle forze filo-russe non comuniste, interessate per le ragioni più diverse a cooperare con Mosca, le quali, in occasione della battaglia presidenziale dell’inverno scorso, hanno dovuto subire l’urto della “rivoluzione arancione” e dell’offensiva imperialista.
La conquista della maggioranza dei seggi, in occasione delle prossime elezioni parlamentari del marzo 2006, da parte dei partiti che contrastano “la politica senza alternative dell’ integrazione euro-atlantica”, potrebbe, combinandosi con l’iniziativa politica e diplomatica della Russia e dei suoi alleati, condizionare ancora di più l’attuale dirigenza ucraina, al punto da costringerla a ridimensionare parte significativa degli obiettivi strategici che si era posta, in intesa con l’imperialismo, al momento dello scatenamento della “rivoluzione arancione”.
In tale prospettiva, aggiungiamo noi, gli avvenimenti di questi giorni, culminati nell’allontanamento dei settori più oltranzisti dello schieramento filo-occidentale, potrebbero forse rappresentare un primo segnale di inversione di tendenza, nel senso almeno di un maggiore bilanciamento della politica estera dell’Ucraina. E la soddisfazione con cui l’amministrazione russa (attraverso le dichiarazioni del suo ambasciatore a Kiev, mentre Putin affermava che Mosca “è pronta a contribuire alla stabilizzazione del Paese”) ha accolto le ultime mosse di Juschenko sembrerebbe confermare che tale prospettiva non appare affatto fuori luogo.