Dopo Vicenza, Treviso e Roma, la pancia di Confindustria ieri si è esibita in quel di Varese. Contro Guglielmo Epifani, in modo palese. Contro Luca di Montezemolo, in modo obliquo. Il segretario della Cgil era uno degli invitati alla tavola rotonda che ha chiuso l’assemblea annuale dell’Unione industriali di Varese. Un nutrito gruppo di imprenditori ha accompagnato con brusii, rumori, buh i suoi interventi. Non hanno fischiato, ma quando al secondo giro la contestazione è salita di tono il segretario della Cgil ha troncato a metà la sua replica. Subito dopo, il presidente di Confindustria ha intonato il solito ritornello: «torniamo alla concertazione». Doppiamente stonato. Ammesso sia giusto concertare, l’episodio di Varese conferma che mancano le condizioni minime per farlo. La scollatura tra vertice e base di Confindustria resta massima. Altrettanto l’animosità anti-Cgil della piccola e media impresa.
Montezemolo ha cercato di ridimensionare l’episodio, ha richiamato i suoi alle buone maniere verso «chi gioca fuori casa», ha dato atto al sindacato d’aver rispettato la tregua sociale con i contratti rinnovati nell’ultimo biennio. Epifani ha replicato che, prima dell’incontro sindacati-governo, è «prematuro» parlare di tavoli triangolari. Avrebbe detto lo stesso anche se la contestazione non ci fosse stata. Di certo, non invoglia a concertare una platea di imprenditori bru-bru che si inalberano a sentir dire che «nella storia della Cgil la cultura dei doveri è sempre stata molto forte», che si scocciano a sentir ricordare che «nel ’43 furono gli operai a difendere le fabbriche».
Varesotti a parte, l’illuminato Montezemolo non ha concesso nulla alle ragioni Epifani. Unico punto di contatto tra i due, i conti pubblici. Entrambi chiedono al governo di rinegoziare con Bruxelles il rientro nei parametri, una manovra bis metterebbe a richio gli accenni di ripresa economica. «I tagli sociali sarebbero insopportabili», dice il segretario della Cgil, «gli impegni fondamentali, a partire da quelli contrattuali, sarebbero rimessi in discussione». Montezemolo, dopo aver affermato che sarebbe una cosa da «medioevo» scindere la crescita delle imprese dal benessere dei lavoratori, propone l’esatto contrario: il deficit si cura tagliando le spese e diminuendo le tasse (o abolendole del tutto, come l’Irap).
I brusii in sala erano cominciati quando Epifani aveva affrontato il nodo flessibilità-precarietà e chiesto di «ragionare a mente fredda» sulla legge 30. Nel settore manifatturiero è usata in percentuali bassissime, Confidustria fa muro più per partito preso che per «reale opportunità». Il segretario della Cgil, come la Fiom, guarda oltre la legge 30 e propone una «riscrittura complessiva» della legislazione del lavoro. Montezemolo ignora la proposta e va al sodo: la flessibilità dell’orario, il grimaldello per rendere precari coloro che ancora non lo sono. Per Confindustria è quello argomento da mettere sul tavolo triangolare della concertazione. «In Italia si lavoro troppo poco», afferma Montezemolo, «ogni cinque anni di lavoro effettivo perdiamo un anno di lavoro rispetto agli Stati Uniti». In Italia si lavora più che in Francia e in Germania, obietta Epifani. E se proprio vogliamo fare dei paragoni, «a me piacerebbe il salario tedesco». Anche i troppi appuntamenti con le urne devono sembrare a Montezemolo giorni rubati al lavoro: «Speriamo che dopo il 25 giugno non si inventino altre elezioni». Quanto al referendum, vincano i sì o vincano i no, dopo «serve una nuova costituente, una bicamerale», urge «modernizzare» il paese.
Cisl e Uil solidarizzano con Epifani «interrotto» dagli imprenditori di Varese. Fanno altrettanto il segretario del Prc Franco Giordano e il Verde Paolo Cento. Secondo il segreario della Fiom Giorgio Cremaschi, i (quasi) fischi confidustriali dimostrano che non è possibile alcun ritorno al concertazione: «Ai loro fischi rispondiamo con i fischietti degli scioperi».