L’Unione europea, e per essa la troika formata da Gran Bretagna, Francia e Germania, alza il tiro contro Teheran dopo la decisione iraniana di rimuovere i sigilli posti agli impianti nucleari dall’Aiea e di riprendere le attività di ricerca sull’arricchimento dell’uranio.
Ieri è toccato al premier britannico Tony Blair farsi interprete di quello che ha definito il “profondo sgomento” dei governi occidentali per la mossa di Teheran, e su questa linea si è svolta una telefonata tra lo stesso primo ministro e il segretario di Stato Usa Condoleezza Rice. Parlando dinanzi alla Camera dei comuni, Blair ha detto di ritenere “probabile” il deferimento dell’Iran al Consiglio di sicurezza dell’Onu, che dovrebbe discutere la richiesta americana (sostenuta accanitamente da Israele) di imporre a Teheran sanzioni. In realtà il deferimento al Consiglio non è così probabile, vista la netta contrarietà della Cina e della Russia che intendono opporsi all’adozione di sanzioni; così come è in realtà arbitrario contrapporre all’Iran la cosiddetta “comunità internazionale”, titolo che si autoattribuiscono i governi dell’Occidente quasi che tutto il resto del mondo non esistesse o non contasse niente. Nell’immediato, comunque, la questione verrà discussa oggi a Berlino dai ministri degli Esteri britannico, francese e tedesco insieme al responsabile esteri dell’Unione europea Xavier Solana; «La prima cosa da fare – ha detto Blair dando di fatto l’imbeccata ai partecipanti all’incontro – è raggiungere un accordo sul deferimento della questione al Consiglio di sicurezza, se è quanto verrà deciso insieme dagli alleati».
Inutile dire che su questo terreno c’è il pieno accordo di Washington, da dove il portavoce della Casa Bianca Scott McClellan ha detto chiaro e tondo che «non avremo altra scelta che riferire al Consiglio di sicurezza», senza peraltro escludere nemmeno il ricorso alla “opzione militare”. Su questo terreno tuttavia è difficile che gli europei seguano Bush, nonostante l’arrendevolezza fin qui mostrata di fronte alle pressioni Usa, che sono la vera ragione per cui in due anni di colloqui non si è riusciti a raggiungere un accordo con Teheran. Resta in ogni caso fissato l’incontro fra la troika e i rappresentanti iraniani, già convocato a suo tempo per il 18 gennaio; anche se le prospettive sono al momento tutt’altro che incoraggianti.
Ma come si è detto sia l’Europa che gli Usa dovranno tener conto dell’atteggiamento della Cina e della Russia, la prima schierata più decisamente con Teheran, la seconda decisa a non rinunciare a una sua specifica mediazione e che oltretutto vede probabilmente nella questione del nucleare iraniano un’altra occasione, dopo la crisi del gas con l’Ucraina, per riaffermare il proprio ruolo e contestare la “strategia imperiale” degli Stati Uniti. Così ieri il ministro degli Esteri Lavrov ha parlato al telefono con Condoleeza Rice accettando di esprimere un comune “profondo disappunto” per la decisione iraniana ma senza andare più in là; al tempo stesso si starebbe preparando il rilancio della proposta russa di arricchire l’uranio iraniano sul proprio territorio, magari con una joint-venture fra Mosca e Teheran, gettando così sul tavolo una carta che può far quanto meno slittare in avanti ogni ipotesi di ricorso al Consiglio di sicurezza.
Ma intanto l’atteggiamento degli usa e dell’Unione europea, come accennavamo già ieri, sta rinsaldando il fronte interno iraniano intorno alla presidenza di Ahmadinejad, con un crescente clima di unità nazionale. Ieri a difendere i buoni diritti del suo Paese – firmatario, come ha ricordato, di quel Trattato di non proliferazione che autorizza la industria nucleare a scopi pacifici e che Israele, con la connivenza degli Usa, non ha mai voluto sottoscrivere – è sceso in campo Ali Akhbar Hashemi Rafsanjani, già presidente della Repubblica dal 1989 al 1997, sconfitto nelle presidenziali dell’anno scorso da Ahmadinejad e comunque oggi alla guida del Consiglio per la determinazione delle scelte. Rafsanjani ha rivendicato il diritto a portare avanti il programma nucleare ribadendo che l’Iran «non cerca di acquisire l’arma atomica» ed ha poi aggiunto: «E’ una questione delicata: non possiamo rinunciare a un nostro diritto; nessun iraniano è disposto a rinunciarvi, e se ci creeranno problemi ce ne rammaricheremo ma l’Iran uscirà vincitore». L’ex-presidente, confermando con le sue parole la saldatura su questo scottante tema tra conservatori, moderati e riformisti, ha anche denunciato «l’ondata di aggressioni ingiuste che (in questi giorni) si è scagliata contro l’Iran da parte degli ambienti politici e militari dell’Occidente». Facendo seguire alle parole i fatti, Teheran ha ieri rimosso i sigilli dell’Aiea da altri due siti nucleari, dopo l’impianto di Natanz; lo ha riferito il direttore dell’Agenzia atomica dell’Onu Mohammed el Baradei (di recente insignito del premio Nobel) precisando che si tratta di due laboratori collegati a quello principale. L’Iran dunque procede per la sua strada, con l’occhio ovviamente attento alla riunione di oggi nella capitale tedesca.