L’apertura dell’Iran deve venire colta da tutti i paesi come un’occasione per promuovere un processo che porti alla soluzione definitiva del problema nucleare (e non solo) in Medioriente e in Asia, e rilanci il processo di disarmo nucleare. Washington usa il pretesto dei programmi nucleari iraniani (iniziati più di 30 anni fa quando li offrì allo scià) per coprire la ripresa della proliferazione (Giappone, Brasile, ecc.) e giustificare l’uso effettivo delle armi nucleari (proprio contro Teheran).
Nella scelta nucleare iraniana si mescolano motivazioni di politica interna con esigenze energetiche/economiche. La disponibilità dichiarata per un «ampio negoziato» su tutto l’arco dei problemi della regione offre l’occasione, e impone, di andare a vedere il gioco, e non può essere lasciata cadere, o tacciata a priori come un bluff. L’Europa in primo luogo, mentre si appresta (non senza incertezze) a inviare una forza armata, che dice «di pace», deve assolutamente farsi avanti, se vuole avere una credibilità.
Le proposte e i passi da fare sono chiari, anche se tutt’altro che facili: ma non hanno scorciatoie. La presenza di gran lunga più destabilizzante nell’intera regione è il poderoso arsenale nucleare di Israele (almeno 200 testate, delle più moderne, missili, bombardieri e sommergibili). La proposta di fare del Medioriente una «zona libera da armi nucleari» era sul tappeto fin dai tempi dei negoziati per il Trattato di non proliferazione (Tnp): riproposta ripetutamente da autorevoli risoluzioni dell’Assemblea generale dell’Onu (nel 2004 anche dalla troika europea che trattava con Teheran), è sempre stata bloccata da Israele e dagli Usa (mentre ne sono state istituite quattro: America latina e Carabi, Africa, Sud-est asiatico, Pacifico del sud; non sfuggirà, appunto, l’esclusione del Pacifico del nord e dell’Asia occidentale, teatri di test e di proliferazione!).
Questa è la prima proposta che deve oggi venire fatta propria da tutti e rilanciata con estrema determinazione: è la strada maestra per disinnescare le conflittualità della regione e aprire un processo realmente nuovo, che ponga in maniera nuova anche gli altri problemi e ne prepari la soluzione. Sarebbe inoltre una scelta che sbloccherebbe finalmente l’intero processo di disarmo nucleare, fermo da 36 anni (Tnp, 1970).
Se l’Asia occidentale venisse denuclearizzata, come lo è quella orientale, si aprirebbe una nuova opportunità per mettere in discussione anche gli arsenali nucleari dell’India e del Pakistan. Ma l’Europa per prima, per risultare credibile, deve essere pronta a rimuovere alcuni grossi scheletri dall’armadio. È giunta l’ora che si ammetta l’assoluta inutilità, e la pericolosità, degli arsenali nucleari della Francia e della Gran Bretagna: la loro messa in discussione non può che far parte di un processo che coinvolga anche le armi nucleari degli Usa, della Russia e della Cina. Ma proprio qui starebbe il valore e la credibilità di un primo passo. E c’è un altro passo, molto più semplice, che può e deve essere fatto immediatamente: esigere lo smantellamento delle 480 testate a gravità ancora presenti in sei paesi europei della Nato, 90 in Italia. Si tratta di armi obsolete (rispetto ad esempio a quelle montate sui sommergibili nucleari), la cui presenza è più la reiterazione del dominio sui paesi che le ospitano, che non un’esigenza strategica.
Questi passi certo non sono facili. Sia perché le armi nucleari sono ormai considerate la suprema e risolutiva garanzia della superiorità militare degli Stati uniti e di Israele (di fronte ai crescenti scacchi dei loro eserciti super tecnologici), sia perché nella regione mediorientale si gioca la partita strategica decisiva. Ma proprio per questo è necessario cogliere quest’occasione: e l’Europa ha tutte le carte in regola e l’autorità per farlo, garantendo così anche che l’ulteriore coinvolgimento militare non la trascini in realtà in questo conflitto globale. È difficile pensare che nelle forze che compongono l’attuale maggioranza vi sia qualcuno che possa tirarsi indietro da questa responsabilità storica.