«Russia e Cina sono a bordo»: lo ha annunciato soddisfatta la segretaria di stato Hillary Clinton poche ore prima che la bozza di risoluzione sulle sanzioni all’Iran venisse fatta circolare al Consiglio di sicurezza. Essa prevede di impedire a Teheran investimenti all’estero «se vi sono motivi per credere che essi siano collegati alla proliferazione nucleare», di estendere l’embargo a vari tipi di armamenti (carri armati, aerei, navi) e istituire un regime di ispezioni dei «cargo sospetti» nei porti e in mare aperto. Ma per la nave da guerra dell’embargo, in cui si sono formalmente imbarcate anche Pechino e Mosca, si prevedono acque agitate.
Alla vigilia della presentazione della bozza di risoluzione, che sarà messa ai voti in data da stabilirsi, è stato annunciato l’accordo in base al quale l’Iran invierà in Turchia e Brasile uranio bassamente arricchito, ricevendo in cambio uranio arricchito al 20% che si impegna a usare a scopi esclusivamente civili. L’Iran si è cosi attenuto a quanto concordato, nel novembre scorso, nell’unico incontro formale con i negoziatori statunitensi. Dopo aver definito l’accordo un «momento di cambiamento storico», il governo turco, membro non permanente del Consiglio di sicurezza, ha dichiarato che ulteriori sanzioni all’Iran non sono più necessarie. Lo stesso ha fatto il governo brasiliano, anch’esso membro non permanente del Consiglio di sicurezza. Contemporaneamente Cina e Russia, membri permanenti, hanno espresso il loro pieno appoggio all’accordo.
Nella «questione iraniana» entrano così in gioco diversi interessi contrastanti. C’è la Turchia che, con la sua posizione geostrategica tra Medio Oriente ed Europa, non vuole più essere semplice gregario degli Stati uniti nell’ambito Nato, ma aspira a un ruolo autonomo di maggiore peso. Riferendosi agli Usa, il presidente turco Erdogan ha dichiarato: «Questo è il momento di discutere se crediamo nella superiorità della legge o nella legge dei superiori. Se hanno ancora armi nucleari, come hanno la credibilità per chiedere ad altri di non averle?». Lo stesso messaggio, implicitamente, è diretto a Israele che, a differenza dell’Iran, non aderisce al Trattato di non-proliferazione né ammette ufficialmente di possedere armi nucleari, pur avendone centinaia insieme a circa mezzo quintale di plutonio per uso militare. C’è il Brasile, il quale aspira a un ruolo autonomo come potenza regionale contraria all’«Area di libero commercio delle Americhe» dominata dagli Usa, ai tentativi Usa di destabilizzare il Venezuela e l’Honduras e all’embargo contro Cuba. Ora, attraverso l’accordo con l’Iran, il Brasile entra nella complessa situazione mediorientale.
Ci sono soprattutto la Cina e la Russia, impegnate in un braccio di ferro con gli Usa per ridisegnare la mappa energetica mediorientale e per le quali gli accordi con l’Iran sono fondamentali. La Cina, che l’estate scorsa ha firmato con Teheran accordi per l’ammontare di 8 miliardi di dollari, partecipa sempre più allo sfruttamento dei giacimenti iraniani di petrolio e gas naturale, di cui importa crescenti quantità, tanto che è divenuita il maggiore partner commerciale di Teheran. Lo stesso sta facendo la Russia: la Gazprom ha firmato lo scorso marzo un grosso contratto con l’iraniana Nioc. In tale quadro si inserisce la «guerra degli oleodotti e gasdotti» per decidere attraverso quali corridoi energetici il petrolio e il gas naturale del Caspio devono essere trasportati ai paesi consumatori. Dopo aver vinto il primo round, con l’oleodotto che collega il porto azero di Baku con quello turco di Ceyhan aggirando la Russia, gli Usa e la Gran Bretagna hanno perso terreno, mentre ne hanno guadagnato la Cina e la Russia che stanno aprendo corridoi energetici diretti soprattutto verso est. Lo scorso gennaio è stato inaugurato il gasdotto Dauletabad-Sarakhs-Khangiran che trasporta il gas naturale del Turkmenistan in Iran, permettendogli di accumulare un surplus da destinare principalmente al mercato cinese. Teheran ha allo stesso tempo un accordo con Ankara per la fornitura di gas turkmeno, che dovrebbe arrivare in Turchia via Iran. L’aspirazione di Teheran è duque quella di fare dell’Iran, grazie alla sua posizione geografica, uno snodo fondamentale dei corridoi energetici sia verso l’est che verso l’ovest.
Per questo, qualunche cosa faccia, l’Iran resta nel mirino di Washington, i cui interessi strategici non permettono che possa affermarsi in Medio Oriente una potenza sottratta all’influenza statunitense o, peggio, ostile agli Stati uniti. Da qui la bozza di risoluzione, che Washington sa bene non sarà in grado di imporre un ermetico embargo, ma può sempre servire ad accusare l’Iran di «gravi violazioni» per poterlo colpire militarmente. L’Iran, pur non possedendo armi nucleari, ha però una forza ben superiore a quella che avevano l’Afghanistan e l’Iraq quando sono stati attaccati e occupati dagli Usa. Una terza guerra del Golfo avrebbe quindi effetti distruttivi di gran lunga maggiori e ripercussioni ben più gravi su scala mondiale.
(il manifesto, 25 maggio 2010)