Notte di fuoco a Torino rivolta e fuga dal cpt Cassibile ignota

Alla fine della nottata, il conteggio nel centro di permanenza di Torino registra 18 persone mancanti. Ospiti o detenuti, che dir si voglia, di uno dei più antichi cpt d’Italia. Alle due di mattina un uomo egiziano trattenuto nel centro di permanenza di corso Brunelleschi prova a scappare, rompendo una rete. La dinamica dei fatti, ovviamente, è molto difficile da ricostruire. Gli altri detenuti, ascoltati ieri dalla senatrice Daniela Alfonsi del Prc (neo eletta), hanno raccontato che l’uomo è stato malmenato dalla polizia che si occupa di mantenere l’ordine intorno alle gabbie. A quel punto è scoppiata una vera e propria rivolta: da una parte i poliziotti in tenuta antisommossa che cercavano di ristabilire l’ordine, dall’altra gli immigrati a tirare oggetti contro gli agenti, anche per cercare di agevolare la fuga di chi poteva. Sei appartenenti alle Forze dell’ordine hanno riportato, come conferma un comunicato del ministero dell’Interno, «ferite perlopiù leggere». A fuggire ce l’hanno fatta in diciotto, si sono dileguati, ieri sera ancora non erano stati ancora rintracciati. E dalla questura arriva l’informazione che le immagini del circuito chiuso di telecamere verranno utilizzate per accertare «eventuali responsabilità» di chi ha partecipato alla sommossa. Ma fino a ieri non c’erano né fermi né arresti.
Che il cpt di Torino fosse una bomba pronta ad esplodere era cosa nota da tempo. Né quello di ieri è stata l’unico tentativo di fuga collettiva: l’ultima volta è successo il 12 maggio, ma soltanto una persona è riuscita a scappare. Sempre un uomo, perché per le donne è molto più difficile riuscire a guadagnare l’uscita, visto che la struttura è circondata da due reti altissime e da un muro (quasi) invalicabile. Ieri le reti sono state divelte, e già in nottata sono arrivati i fabbri a ricucirle. Nel panorama dei centri di permanenza temporanea quello di Torino rimane negli occhi: sembra quasi impossibile che nell’opulenta città del nord il centro si costituito da una serie di container appoggiati su una spianata di cemento. «All’interno di quei container ci sono i letti e poco più – racconta Alfonsi – spesso sono maleodoranti, l’unica cabina telefonica non funziona. E secondo le informazioni che ho raccolto oggi l’ultima novità è che, siccome i nuovi cellulari hanno la possibilità di fare fotografie, quando gli immigrati entrano nel centro i poliziotti rompono con un chiodo lo schermo, così da impedire di fotografare». Ennesimo particolare che completa il quadro ben noto dell’atmosfera nei cpt italiani. «E’ ovvio che le persone cerchino di fuggire da un posto del genere – aggiunge Alfonsi – dove si vive male, c’è poco da fare. E perdipiù nel centro di Torino da qualche anno è rilevante la quota di persone che escono dal carcere, hanno scontato la loro pena eppure si trovano a dover passare altri giorni, a volte mesi, in un posto come questo. Oggi ad esempio ho parlato con una donna moldava che aveva già scontato cinque mesi in carcere per non aver ottemperato a una serie di ordini di espulsione. In pratica è finita in galera per il reato introdotto dalla Bossi-Fini. Dopdiché l’hanno rinchiusa nel centro. Che senso ha?». Sulle persone che sono scappate non si sa molto, se non il caso di un uomo marocchino, che ieri tutti ricordavano nel cpt: era arrivato solo da dieci mesi in Italia, aveva speso tutti i suoi soldi per il viaggio, e sua madre è gravemente malata. Diceva di essere disperato, lo ripeteva continuamente.
Il prefetto di Torino Goffredo Sottile ieri ha effettuato un sopralluogo: «Stiamo lavorando per aumentare le misure di sicurezza – ha detto – e presto inizieranno i lavori di ristrutturazione». Nel frattempo il cpt rimarrà in funzione «perché è uno strumento indispensabile». Saranno tolti i container e una volta finiti i lavori i detenuti saranno trattenuti in edifici veri e propri. Ma i problemi di fondo di una struttura unicamente repressiva rimangono tutti sul tappeto.