A scriverlo è uno che se ne intende, Domenico Siniscalco, che è stato ministro dell’Economia (sia pure per poco): «”Capitalismo degli amici” (in inglese “crony capitalism”) è il termine usato per definire e criticare il mercato dei capitali emerso nella Russia di Eltsin dopo le privatizzazioni, dove intrecci tra manager e politica, incertezza delle regole, assenza di trasparenza e di tutela per azionisti e creditori hanno generato oligarchie e enormi arricchimenti, a scapito dello sviluppo e del mercato». Ebbene, è tale tipo di “capitalismo degli amici” quello che oggigiorno va alla grande da noi in Italia, dice sempre l’acuto Siniscalco; e ciò «ha portato alla ribalta un gruppo di banchieri e investitori capaci di ogni genere di pratiche illegali, dotato di rapporti personali e poco ortodossi con la politica, e con un Governatore partigiano, a sua volta capace di mobilitare un vero e proprio partito trasversale in Parlamento». Insomma, un quadro fosco, Hannibal The Cannibal, «un capitalismo poco trasparente, dove contano le amicizie più delle regole, dove è normale fornire notizie false al mercato…». Un quadro ineccepibile, sul quale non abbiamo niente da obiettare, visto che -poi – lo dice lui, Siniscalco, uno che se ne intende.
Ma se questo è sicuramente il capitalismo “cattivo”, qual è la differenza con quello “buono”? Ci sfugge.