Nordcorea: è la Cina a condurre la danza

L’ unico a non farsene una ragione è Taro Aso. Il ministro degli esteri giapponese, alle cui insistenze si deve questo vertice improvvisato e quello, alla fine smentito, che si sarebbe dovuto tenere oggi a Pechino assieme al collega russo, è visibilmente deluso e irritato, al punto da inventarsi un accordo che non c’è. «Siamo tutti d’accordo nell’applicare con assoluto rigore le sanzioni», racconta. Neanche per sogno. Non sono entrati troppo nei particolari, i tre capi della diplomazia di Stati uniti, Giappone e Corea del Sud, proprio per evitare di litigare e sottolineare differenze profondissime di interpretazione della risoluzione 1718 del Consiglio di sicurezza.
Ma su un punto Ban Ki Moon, il ministro degli esteri sudcoreano che da gennaio sarà il nuovo segretario generale dell’Onu, è stato chiaro. La Corea del Sud non ha nessuna intenzione di bloccare le visite dei turisti al parco di divertimenti costruito al di là del confine dalla Hyundai, nè di bloccare la zona industriale di Kaesong, dove una centinaio di aziende sudcoreane pagano mezzo milione di dollari al mese al regime di Pyongyang, che a sua volta dovrebbe distribuirli agli oltre due mila operai ed impiegati del nord che vi lavorano. «Valuteremo la situazione certo – ha detto Ban Ki Moon -, ma nella fattispecie si tratta di progetti che non favoriscono solo il nord, ma anche le nostrre aziende».
Nessun accordo neanche sulla questione delle ispezioni. Al punto che la Rice ha ritenuto di chiarire una volta per tutte che la risoluzione non impone l’embargo e tanto meno un blocco navale, bensì autorizza eventuali ispezioni dei mercantili nordcoreani in partenza. Niente arrembaggi in alto mare, dunque, come sembrava sognare Taro Aso.
Vertice fallito, dunque. E più che altro inutile. Inutile perchè è la Cina – con la sua efficace diplomazia parallela – ad assumere sempre di più un ruolo decisivo, tant’è che la Rice deve aspettare il suo arrivo a Pechino, oggi, per sapere cosa ha davvero in mente il «caro leader», Kim Jong Il. Mentre Aso, che ha tentato in tutti I modi di farsi invitare anche lui a Pechino, senza riuscirci, dovrà aspettare ancora qualche ora.
Sembra dunque evidente che, per immaginare con una certa ragionevolezza i prossimi sviluppi della crisi, sia indispensabile sapere cosa abbia detto a Tang Jiaxuan, l’inviato speciale del presidente cinese Hu Jintao, già ministro degli esteri di Pechino, il «caro leader». Pare che il diplomatico cinese abbia portato a Pyongyang un messaggio molto forte: basta con gli esperimenti nucleari, altrimeenti sono davvero guai per tutti. Ma è probabile che Tang abbia anche rassicurato Kim Jong Il che la Cina non ha nessuna intenzione di abbandonare il suo vecchio alleato, un po’ come gli Stati uniti hanno ripetuto più di una volta in questi ultimi giorni, riferendosi al loro obbligo di intervenire «con ogni mezzo» per proteggere e difendere I loro alleati, Giappone e Corea del Sud. Dove ieri, con tempismo degno di nota, le truppe americane hanno compiuto delle esercitazioni per verificare la capacità di reazione in caso di invasione da parte del nord. Un’invasione che ovviamente non ci sarà, come dimostra il fatto che I sudcoreani, che fino a qualche anno fa, per molto meno, dichiaravano l’emergenza nazionale e schieravano i carri armati in tutti gli angoli delle strade, in questi giorni si comportano come nulla fosse.
In realtà, qualcosa è successo e sta succedendo. Da un lato, l’entrata a gamba tesa del «caro leader», che con la bomba in mano ha acquisito un diverso potere contrattuale. Dall’altro la prepotente emergenza della Cina come superpotenza globale, apparentemente incapace di contenere le intemperanze del suo sempre più scomodo alleato, ma di fatto l’unica, in prospettiva, destinata a contenere l’egemonia americana. La sfida oramai è lanciata: portare Stati uniti e Corea del Nord ad un negoziato diretto. Anche passando da una formale ripresa dei colloqui a sei. Ma per farli proseguire a due, Massimo tre, con la Cina a mediare una pace che il popolo coreano attende oramai da tre generazioni.