Non vedo, non sento, non parlo

“Dopo l’11 settembre, nel quadro della lotta al terrorismo internazionale, la violazione dei diritti umani fondamentali non è stata un fatto episodico né un eccesso riferibile solo a pochi paesi ma una pratica diffusa, con un concorso di colpa generalizzato che ha risparmiato pochi paesi dell’Unione Europea”.
Lo afferma Claudio Fava, relatore della Commissione d’inchiesta sulla CIA del Parlamento Europeo, nella risoluzione interinale che contiene i risultati dei primi quattro mesi di indagini.

“Basti pensare all’uso dei cieli e degli aeroporti europei da parte della Cia, con più di mille voli gestiti dal servizio segreto americano, spesso direttamente utilizzati in operazioni di extraordinary renditions. Senza che mai nessuna autorità nazionale di sicurezza o di polizia – tranne poche eccezioni – si sia preoccupata di verificare quale fosse il vero scopo di quei voli, il loro equipaggio, i loro passeggeri (o i loro prigionieri). Basti pensare anche alla collaborazione offerta dai governi di alcuni Paesi terzi alla Cia nella pratica illegale delle rendition, senza che le ambasciate europee di quei paesi, che quasi sempre sapevano, siano mai intervenute per evitarlo”.
Claudio Fava ha ricordato, tra le molte audizioni di questi mesi, la drammatica testimonianza dell’ex ambasciatore britannico in Uzbekistan, Craig Murray, testimone della detenzione e della tortura di centinaia di oppositori politici uzbeki sbrigativamente etichettati come “sospetti terroristi”:

“Le informazioni estorte in quel modo dai servizi di sicurezza uzbeki, ci ha raccontato Murray, venivano poi girate alla Cia e all’M 16. Per il Regno Unito, ha detto l’ambasciatore Murray, non c’era alcuno scandalo: loro non torturavano, si limitavano a utilizzare le informazioni raccolte da altri…”.
Risulta provato che alcuni tra i paesi membri o associati all’Unione Europea, dice Fava nella sua relazione interinale, abbiano avuto responsabilità dirette.
“Certamente la Svezia che ha consegnato alla Cia due cittadini egiziani perché venissero rimpatriati in Egitto, nonostante il rischio altissimo che i due detenuti fossero torturati e, comunque, detenuti senza alcuna effettiva garanzia giudiziaria. Certamente la Bosnia dopo la plateale consegna, a Sarajevo, di sei indiziati alla Cia nonostante la decisione contraria della Corte Suprema e della Camera per i Diritti Umani. Certamente l’Italia: dopo aver ascoltato in Commissione la puntuale ricostruzione del Procuratore Spataro e la vaga testimonianza offerta dal generale Pollari, capo del Sisde, è apparso a tutti assolutamente inverosimile che le autorità italiane non siano state a conoscenza del rapimento dell’imam di Milano organizzato ed eseguito da ben ventidue agenti della Cia.”

“In ultima analisi – ha aggiunto il relatore Claudio Fava – le extraordinary renditions si sono rivelate uno strumento inutile, oltre che illegale, nella lotta al terrorismo. Come hanno spiegato l’ex ambasciatore Murray e il cittadino canadese Maher Arar (sequestrato negli Stati Uniti, trasferito in Siria, detenuto e torturato per un anno e infine liberato senza alcuna imputazione a suo carico), le confessioni estorte con quei sistemi sono da ritenersi totalmente prive di ogni fondamento (“purché la smettessero di tormentarmi, ero disposto a firmare qualunque confessione” ci ha detto Arar).
Il lavoro della Commissione, che fino ad oggi si è concentrato sulle vittime riconosciute e sulla loro storia, proseguirà adesso per dare attuazione alla seconda parte del proprio mandato: verificare se e dove vi siano state prigioni clandestine in Europa.
L’otto maggio la Commissione partirà per Washington.
“Raccoglieremo le informazioni e le opinioni, tra gli altri, anche di alcuni ex funzionari della Cia che hanno lasciato l’agenzia in aperta polemica con i metodi dell’amministrazione Bush nella lotta al terrorismo”.

La scorsa settimana una delegazione di deputati europei si era recata a Skopje, in Macedonia, per indagare sul sequestro e la successiva consegna alla Cia del cittadino tedesco Kaled El Masri, detenuto per cinque mesi in Afghanistan e infine liberato senza alcuna accusa a suo carico.