Non tradite la lezione delle urne

Calamandrei o Calderoli? Gli italiani hanno scelto senza esitazioni il primo. Ma la politica – a sinistra forse ancor più che a destra – continua a fornicare col secondo. E infatti gli ingegneri della Grande riforma sono già di nuovo all’opera, a dispetto d’un «no» tondo e sonoro scandito da 16 milioni di bocche. Progettano assemblee costituenti, convenzioni, bicamerali di lotta e di governo. E in conclusione offrono l’ennesima conferma del divorzio tra popolo e Palazzo.

Eppure non dovrebbe esserci bisogno dell’amplifon per ascoltare la lezione delle urne. È una lezione – questa sì – ricostituente, rivitalizzante. In primo luogo perché rinvigorisce il referendum, che la maggioranza degli elettori disertava da 11 anni. Significa che i referendari possono coinvolgerci solo se prospettano una grande questione nazionale, che ciascuno avverte come propria. E in secondo luogo perché inietta sangue e linfa nel corpo stremato della nostra vecchia Carta.

L’oggetto di questa consultazione non era infatti la bozza di Lorenzago, o i suoi quattro scamiciati autori. La posta in gioco era piuttosto la Costituzione del 1947, la sua sopravvivenza; e quest’ultima, vivaddio, ne è uscita indenne. Di più: ha ritrovato la propria autorità perduta in trent’anni di riforme abortite, d’inciuci malevoli e maldestri, di chiacchiericci sulla palingenesi delle istituzioni.

C’è insomma un significato univoco nel voto che abbiamo appena espresso. Il rifiuto di riforme solitarie? Può darsi; anche se nel 2001 un altro referendum confermò il federalismo dell’Ulivo, passato per quattro voti in Parlamento. Quella volta però la riforma potava qualche ramo della Costituzione (un solo titolo sui 6 della seconda parte), e forse anche per questo cadde nella distrazione generale. Adesso viceversa Calderoli voleva aggredirne il tronco, l’impianto complessivo. Da qui la risposta del 53,6% di italiani, nonostante il caldo e la stanchezza per i troppi appuntamenti elettorali. Ma da qui anche un altolà alla mitologia della Grande riforma, con la sua appendice di bicamerali.

Se il voto popolare ha un senso e un peso, d’ora in poi sono possibili solo aggiustamenti mirati, interventi chirurgici e puntuali. Sicché le forze politiche non hanno che da discuterli uno per uno. E senza spingere.