NON STA RISCHIANDO SOLO IL CREMLINO

Le passioni che si sono scatenate nel PCFR attorno al destino di Selezniov non sono assolutamente frutto del caso. Non si sta parlando certo di una questione privata, legata alla carriera di un politico. Si sta parlando della questione strategica relativa alla partecipazione o meno dei comunisti ai meccanismi della gestione del potere in Russia. Qui si trovano le motivazioni del loro travaglio e della loro scelta. La definitiva demolizione del principio che sta alla base degli accordi sottoscritti nei nostri parlamenti nel corso degli anni ’90, pone all’ordine del giorno la questione non solo del destino delle sinistre nel moderno sistema politico russo, ma anche del futuro del sistema stesso.
La particolarità della marcia dal totalitarismo alla democrazia consiste nel fatto che in Russia, negli ultimi 10-12 anni non è emerso un movimento di sinistra, che consapevolmente abbia partecipato alla costruzione del regime democratico. In questo sta la nostra principale differenza dai paesi dell’ex blocco orientale.
In Europa orientale non hanno solo attuato una modifica della denominazione dei loro partiti, che si sono trasformati in socialisti o socialdemocratici, ma una riforma di contenuti. Così, ad esempio, oggi i socialisti bulgari si pronunciano per l’ingresso della Bulgaria nella NATO e nell’UE e, conseguentemente, per i valori che difende l’Europa occidentale e, in senso più ampio, la comunità dell’altra parte dell’Oceano.
Poiché gli ex partiti comunisti sono diventati parte dei regimi democratici, nessuno ha impedito che alla presidenza della Bulgaria ci sia oggi Gheorghij Pirvanov, ex segretario del comitato centrale del partito comunista, e a quella della Polonia sieda Aleksandr Kwasniewski, in passato membro della direzione del POUP.
Ma i comunisti nostrani non hanno fatto concessioni ideologiche alla nuova Russia. Nel migliore dei casi essi si collocano oggi sulle posizioni della NEP di Lenin, quando era permessa la piccola attività commerciale, mentre lo stato assumeva il controllo della grande industria, monopolizzava il commercio estero e regolava i prezzi.
Spesso viene rivolta attenzione al fatto che il PCFR sostiene un orientamento antioccidentale in politica estera, che ripete in continuazione che la privatizzazione non è stata solo un errore, ma un tradimento, che esige la nazionalizzazione delle grandi imprese, e che nega la proprietà privata della terra.
Più raramente viene ricordato che la posizione ufficiale del partito comunista in merito all’attuale Costituzione è negativa. In tal modo ne deriva che il PCFR è sempre pronto a porre la questione del cambiamento dell’attuale sistema politico russo.
Le sinistre agiscono nell’ambito dell’attuale regime semplicemente per necessità, mettendolo però continuamente in discussione. E sotto questo punto di vista essi, in un certo senso, sono solo dei “compagni di strada”, che in realtà non partecipano alla costruzione dell’ordine democratico russo, che vede il concorso solo delle destre e del centro. Ciò, a mio avviso, indebolirà sistematicamente, ancora per molti anni, la democrazia russa.
Perché all’interno del PCFR nessuno può formare una corrente socialdemocratica? E’ questa la cultura del nostro partito comunista. Essa si è sviluppata ancora prima del 1917, e questo archetipo culturale si riproduce permanentemente.
L’unità è al di sopra di tutto il resto: è la litania, con cui ha inizio ogni manifestazione comunista. La scissione è considerata la sciagura più terribile che può abbattersi sul partito. Naturalmente esistono un’ala più moderata ed una più radicale, ma entrambe sono unite dallo stesso scopo. Per questa ragione la riforma del partito comunista è così complicata. Tutti i tentativi di scissione, attuati negli ultimi 10 anni, non sono approdati a nulla. Il PCFR è a suo modo una chiesa: una chiesa fondamentalista che non rinnega la propria ortodossia.
Il problema è reso ancora più acuto dal fatto che, nel nuovo panorama politico russo, non è stata integrata la più possente di tutte le forze politiche esistenti nel paese. Coloro che sostengono che il PCFR è un partito sempre più vecchio, un partito in stato agonico destinato all’estinzione, si ostinano a non riconoscere che in ben tre elezioni – nel ’93, nel ’95 e nel ’99 – la quota dei consensi comunisti è cresciuta. E che, secondo gli ultimi sondaggi, essi superano di gran lunga “Russia unita”, per non parlare poi degli altri partiti.
Sorge allora la domanda: che cosa dobbiamo fare di costoro? E’ evidente che non può essere presa una decisione a cuor leggero. In ultima analisi, l’attuale regime politico ha di fronte a sé due varianti strategiche.
La prima variante è rappresentata dal coinvolgimento dei comunisti, indipendentemente dall’atteggiamento che assumono nei confronti del nuovo sistema politico. La seconda variante consiste nello scatenamento del conflitto con i comunisti e nel tentativo di isolarli, scinderli e metterli ai margini.
Ricordo che, nel corso della maggior parte degli anni ’90, Boris Eltsin, con tutta la sua retorica anticomunista, ha in realtà cercato di attuare la strategia della collaborazione. Non è dovuto al caso che i comunisti siano stati ammessi alle prime elezioni per la Duma. Non è casuale che, nella seconda Duma, essi abbiano ottenuto il diritto a coprire la carica di speaker e la presidenza di una serie di commissioni parlamentari. E non è un caso che, già con Vladimir Putin, due anni fa si sia raggiunto un accordo per l’attribuzione ai comunisti del posto di speaker, di vice-speaker e di 9 commissioni.
Anno dopo anno, il potere ha chiuso un occhio di fronte all’elezione a governatori di un congruo numero di appartenenti al partito comunista. Nel governo Primakov, il comunista Masljukov è stato persino nominato primo vicepremier.
La strategia della collaborazione ha coinvolto i comunisti nel processo di gestione del paese e ha ammorbidito la retorica dell’opposizione. Mantenendo la propria ideologia, essi, volenti o nolenti, hanno assunto parte della responsabilità per la situazione economico-sociale del paese.
Fino all’inizio di aprile i comunisti sono stati abbastanza fortemente coinvolti nei meccanismi del potere russo. Il significato profondo del “colpo parlamentare” non sta tanto negli aspetti tecnici conseguenti alla trasformazione delle commissioni, quanto nel fatto che, dalla strategia della collaborazione il Cremlino passa ad una strategia completamente diversa, quella dell’isolamento dei comunisti.
Ed ecco la domanda: quando il Cremlino va allo scontro con le sinistre, si rende conto delle possibili minacce che ne possono derivare? E cosa faranno i comunisti? Saranno in grado di organizzare una controffensiva?
A mio avviso, il Cremlino, anche se ha realmente ponderato le proprie azioni, rischia moltissimo. E non rischia solo il Cremlino, ma l’intero sistema politico della Russia. La radicalizzazione di un segmento enorme della nostra società è particolarmente pericolosa proprio ora, che il gruppo al potere sembra in procinto di varare riforme strutturali particolarmente complicate e dolorose: la riforma del sistema pensionistico, quella dei servizi comunali, la riforma dell’istruzione, ecc. Facendo leva sulla protesta, i comunisti possono trasformarsi in un pericolo reale. Perché una cosa è l’opposizione interna al sistema, un’altra l’alternativa a tutto il sistema. E i comunisti oggi potrebbero cogliere l’occasione per trasformarsi da opposizione interna ad alternativa.
Naturalmente, non è il caso di sopravvalutare la loro forza. I comunisti non dispongono di un significativo ricambio generazionale. Ma non è neppure il caso di sottovalutare la capacità dei comunisti di trarre vantaggio dalla drammatizzazione della situazione, in particolare di fronte ad un peggioramento delle condizioni economico-sociali della gente. Le elezioni del 2003 per la Duma potrebbero riservare amare sorprese al Cremlino.
L’attuale maggioranza della Duma sembra convinta che, con al Cremlino un presidente energico e popolare, con il controllo dei “media”, con risorse finanziarie e amministrative praticamente illimitate, essa sarà in grado di risolvere qualsiasi compito elettorale. Io non ne sono per niente convinto. In una certa misura l’esperienza dell’Europa orientale e la stessa nostra esperienza dimostrano che è possibile ogni genere di sorpresa. Sarebbe il caso, ad esempio, di ricordare le elezioni del ’93, alle quali il potere si presentò pienamente sicuro di sé: allora Zhirinovskij colse un inaspettato successo.
Ciò che sta accadendo oggi dà ai comunisti ortodossi e radicali tutte le carte in mano. Ora possono affermare: “ecco, vedete che la politica dei compromessi è finita. Adesso riempiamo le piazze e alziamo le barricate!”.
Effettivamente un partito comunista collocato all’opposizione radicale sarà in grado di ricevere molti più consensi di quanti ne abbia oggi. E allora Putin dovrà affrontare lo stesso problema che si trovò di fronte Eltsin a metà degli anni ’90, quando la sua iniziativa era paralizzata, dal momento che la maggioranza alla Duma apparteneva ai suoi oppositori.
Naturalmente, alla fine tutto dipenderà dagli orientamenti della società, da come essa reagirà alla retorica radicale della sinistra. Ma che nella società si vada accumulando un grande potenziale di malcontento è più che evidente, come è evidente che a molte domande della gente non è stata data alcuna risposta.
Può forse essere stabile la democrazia russa, quando tale democrazia non dispone di una gamba sinistra che partecipi al movimento comune? E’ possibile realizzare una stabile democrazia, quando il movimento di sinistra non intende autoriformarsi e integrarsi nel sistema politico? Come può avere successo la modernizzazione del paese, se il Cremlino spinge sempre più i comunisti verso l’emarginazione e lo scontro?
Sono queste le domande fondamentali di oggi che ancora non balzano agli occhi. Ma che si porranno con grande forza nella campagna elettorale del 2003.

* Deputato indipendente alla Duma di Stato (schierato con la maggioranza di governo)

(Traduzione dal russo
di Mauro Gemma)