«Non abbiamo un paese che li accetti», questo è stato il primo commento a caldo dell’Alto Commissariato Onu per i rifugiati dopo la strage del Cairo. D’altronde, ha ammesso, i sudanesi non sono più considerati profughi politici, dopo gli accordi tra governo del Sudan e guerriglia del sud, ma «profughi» economici, e cioè puri e semplici clandestini. E’ questo il punto della questione: basta una tregua o un qualche patto che «normalizzi» la situazione, e i «diritti umani», tanto sbandierati come preoccupazione somma dell’Onu, vengono spazzati via di colpo. I poveri, se non sono etichettati come perseguitati politici, non sono umani. Che la polizia egiziana ammazzi a colpi di manganello e di mazza una ventina di manifestanti pacifici, tra cui donne e bambini, dà un’idea del rispetto dei diritti umani in uno dei regimi che la propaganda occidentale considera più o meno una democrazia. Ma sarebbe limitato attribuire la responsabilità della strage a gente in divisa che fa quello che le viene ordinato. E tutto fa pensare che gli stati nord-africani agiscano ormai come guardiani delle frontiere sud dell’Europa.
Cioè: i morti davanti a Ceuta e Melilla di qualche mese fa, gli espulsi dall’Italia che svaniscono nel deserto libico, in questi giorni i profughi sudanesi cacciati da via Lecco a Milano e ora ancora i sudanesi massacrati al Cairo. Come mai, davanti a queste morti in serie (per non parlare degli annegamenti nel Mediterraneo), i difensori del diritto di ingerenza dell’Onu e gli esportatori della democrazia con la spada tacciono o continueranno a tacere? Casi come quello del Sudan mettono clamorosamente in luce non già i limiti, ma le caratteristiche strutturali della famosa legalità internazionale. Questa funziona a intermittenza in base ai principi di cinquant’anni fa, aggiornati e tarati sull’attuale dominio globale degli Usa e dei loro satelliti. Quando qualche regime autoritario o dittatoriale minaccia fonti petrolifere, turismo, assetti regionali o magari i confini europei, ecco che in un colpo, con o senza la benevolenza dell’Onu, si formano coalizioni di giusti e volenterosi. Ma se i crimini vengono commessi per così dire in loco, e da puntelli del mondo ricco, ecco che tutti alzano le spalle: la Libia è democratica, della Birmania nessuno si interessa, il Marocco è un nostro fedele alleato, la questione dei curdi di Turchia non esiste più, e quanto all’Iraq, beh, lo hanno capito tutti che ormai è un paese libero. E l’Africa? Un grande buco nero che non interessa a nessuno. Ma ancor più dell’ipocrisia che avvolge l’Onu semi-agonizzante a cui gli Usa assestano da tempo colpi fatali, l’episodio del Cairo mette in luce il rifiuto del mondo ricco, e delle sue istituzioni rappresentative o di facciata, di affrontare la questione della povertà nel resto del mondo. Tutto sommato, se i poveri se ne stanno a casa loro, noi non solo siamo contenti di non essere disturbati, ma anche disponibili a spedire cooperanti – per non parlare delle mobilitazioni delle star del rock. Ma i poveri non ci vengano a scocciare! «Aiutiamoli a casa loro», così è scritto sui cassonetti della spazzatura in certi comuni del nord amministrati dalla Lega. Questo mi sembra il principio che l’occidente applica in materia di povertà, dalla Padania al Cairo. E invece no. Questi sudanesi, come tanti altri che agonizzano nelle metropoli del mondo impoverito o tentano la sorte in mare o nei deserti, non capiscono la differenza tra morire di machete e morire di fame. E quindi cercano di venire da noi. E questo è esattamente il problema politico che l’occidente deve affrontare, se non vuole continuare a coprire le sue stragi.