Non solo economia: i Bric hanno ambizioni politiche e invitano Pretoria nel club

I Bric potrebbero diventare i Brics. La coalizione delle maggiori economie emergenti che comprende Brasile, Russia, India e Cina ha deciso di allargarsi e accettare come nuovo membro il Sudafrica.
La scelta è stata formalizzata con una lettera- invito ufficiale da parte del capo di stato cinese Hu Jintao – Pechino è il presidente di turno del gruppo – al suo omologo sudafricano Jacob Zuma, con la quale lo si invita a partecipare al terzo summit dei leader Bric che si terrà il prossimo aprile in Cina.
La scelta deriva probabilmente dalla richiesta di entrare nel gruppo effettuata nel 2009 dal Sudafrica e, soprattutto, dal fatto che rappresenta l’economia più forte del continente africano. La motivazione ufficiale è promuovere lo sviluppo e la cooperazione tra i paesi emergenti, ma le scelte di carattere economico potrebbero accompagnarsi in questo caso a strategie politiche, volte a rafforzare in particolar modo il ruolo della Cina sulla scena internazionale a discapito degli Stati Uniti: il Sudafrica potrebbe essere una porta di accesso privilegiata per l’intero continente, offrendo un maggior raggio di influenza da un punto di vista geopolitico.
Secondo le previsioni, nel 2014 i paesi Bric dovrebbero rappresentare il 61 per cento della crescita mondiale ma, per la prima volta dalla costituzione del gruppo – il concetto è stato sviluppato nel 2001 dalla Global Investment Research di Goldman Sachs – al suo interno scopi politici potrebbero affiancarsi ai temi economici e finanziari. Brasile, Russia, India e Cina sono l’esempio del peso che i paesi emergenti assumono sempre più, diventando attori protagonisti dell’economia mondiale.
La principale ricchezza che accomuna i quattro paesi è la popolazione – un miliardo e trecento milioni di cinesi, un miliardo e duecento milioni di indiani, 193 milioni di brasiliani e oltre 140 milioni di russi – tutti possibili consumatori, fondamentali per la crescita dell’economia. Altro dato importante è la corsa del Pil, che negli ultimi anni ha registrato un aumento del 10,5 per cento in Cina, del 9,7 per cento in India, del 7,5 per cento in Brasile e del 4 per cento in Russia. Infine una immensa estensione territoriale ed enormi risorse naturali e di materie prime sono gli altri fattori che accomunano i Bric.
Data la loro ricchezza, era inevitabile che le economie emergenti si confrontassero per elaborare nuovi modelli economici e per proporre riforme utili a livello globale. La prima proposta ha riguardato un sistema monetario internazionale diversificato, con la creazione di nuove valute di riserva, in modo da superare la supremazia del dollaro come moneta unica mondiale. Ulteriori decisioni dei leader dei Bric hanno toccato in passato maggiori investimenti in settori quali energia, infrastrutture e tecnologie, a conferma che intorno al loro tavolo l’unica materia di interesse comune era l’economia.
La scelta del Sudafrica come nuovo membro invece induce a pensare che a tematiche economiche si voglia d’ora in avanti affiancare un ambizione politica. Il Sudafrica non può infatti competere con i parametri che sono validi per gli altri quattro membri. Ha una popolazione di 49 milioni di abitanti, concentrati soprattutto nelle città principali con un evidente divario nella distribuzione del reddito.
La crescita del Pil è pari al 3 per cento anche se, negli ultimi anni, a settori tradizionali quali l’agricoltura e l’estrazione di materiali preziosi, si sono aggiunti l’industria manifatturiera e i servizi finanziari. Intanto il presidente Jacob Zuma sta cercando di attuare politiche per sostenere la crescita e gli investimenti.
Se è vero che il Sudafrica è la principale economia del continente nero, il posto riservatogli come nuovo membro dei Bric potrebbe essere occupato anche da altre economie emergenti che hanno registrato migliori performance. La scelta della Cina – che con i suoi investimenti ha pompato la crescita africana (lo scambio commerciale tra i due paesi ha raggiunto una aumento del 30 per cento all’anno, con un interscambio nel 2010 pari a 100 miliardi di dollari) – potrebbe avere quindi una valenza politica: aumentare la sfera di influenza nel continente, rafforzandola anche da un punto di vista geopolitico, in modo da creare una distanza sempre più incolmabile tra l’Africa e gli Stati Uniti.

Maria Elena Viggiano