«Non so come succede, ma dove arrivo io mi affidano sempre i soldi»

Franco Bonato, veneziano nato in Argentina, deputato di Rifondazione comunista nella tredicesima legislatura, tesoriere del Partito, presidente della Mrc Spa, la società editrice di “Liberazione”, ruoli che dovrà lasciare in quanto è stato nominato sottosegretario di Stato al Ministero dell’Interno con il ministro Giuliano Amato. Quella che segue è la sua “storia”, breve e sobria come il personaggio.

Franco Bonato, da dove cominciamo?

Cominciamo dalla mia nascita in Argentina. La mia era una famiglia di emigranti italiani, veneziani, che nel dopoguerra, come migliaia di altre famiglie di un Nordest allora poverissimo, andavano a cercare fortuna nel mondo. Mio padre emigrò in Sudamerica, in Argentina, dove sono nato e dove ho studiato fino a 14 anni.

Come mai siete ritornati?

Mah! Siamo ritornati perché ero figlio di un padre socialista, antiperonista. Io non so una parola di italiano, vivo le condizioni dell’emigrazione di andata e di ritorno con accuse razziste da parte degli italiani. Ci dicevano che “rubavamo il pane a tradimento”. Faccio le scuole medie e superiori a Portogruaro, partecipo al movimento studentesco, faccio il Sessantotto, poi vado a fare il sindacalista della Federbraccianti.

Quando arriva la politica?

Nel ’75 mi sono iscritto al Pci, anche se prima, da studente e da sindacalista, diciamo che ero vicino ad Avanguardia operaia. Frequento l’Università di Modena, con Mottura, con Vittorio Foa, dove mi iscrivo alla Facoltà di economia. All’Università frequento l’area culturale che fa riferimento ad Avanguardia operaia.

Com’è avvenuto, allora, il passaggio al Pci?

E’ stato il Pci a cercarmi, per andare a dirigere l’Alleanza contadini, che era allora il primo embrione dell’organizzazione dei piccoli proprietari terrieri poi chiamata Cia, la Confederazione italiana agricoltori, mentre la Federbraccianti si trasforma a sua volta e diventerà l’attuale Flai, la Federazione dei lavoratori agricoli.

Ritorniamo al Partito comunista italiano.

Avevo litigato con un dirigente emiliano “troppo socialdemocratico”, quindi mi licenzio… mi licenziano. Così smetto di fare attività in quelle che allora si chiamavano Organizzazioni di massa, ma mi chiedono di andare a lavorare al Partito. Vengo eletto consigliere comunale a San Stino di Livenza, un piccolo comune di 15.000 abitanti, e ne divento anche il vicesindaco.

Comincia lì l’esperienza nelle istituzioni?

Sì. Vengo anche eletto al Consiglio provinciale, sempre per il Pci. Faccio per tre anni il consigliere provinciale e poi divento vicepresidente della Provincia di Venezia. Poi vengo candidato a Marghera e divento deputato nella tredicesima legislatura.

Siamo nel 1996, ma prima c’è stato il passaggio a Rifondazione.

Sì, quando Occhetto e D’Alema fanno la scelta della Bolognina, e poi il congresso di Rimini di scioglimento del Pci e di passaggio al Pds, io aderisco alla mozione ingraiana, faccio tutto il percorso della seconda mozione, poi, quando nasce Rifondazione, sono tra i fondatori di Rifondazione comunista a Venezia.

Deputato del Prc, con quali compiti?

Il partito mi chiede di andare in Commissione Finanze. Faccio parte della Commissione sul federalismo fiscale e mi occupo di Finanze e Bilancio. Tutta la mia storia negli Enti locali è caratterizzata dal fatto che ho dovuto sempre fare anche l’assessore al Bilancio: come vicesindaco; come vicepresidente della provincia di Venezia. Come deputato e come tesoriere del Partito e del giornale, in ogni realtà dove mi sono trovato, qualcuno ha pensato di affidarmi i soldi e i conti.

Anche come sottosegretario all’Interno?

Il ministro Amato mi ha affidato le deleghe sulla finanza locale e sui servizi elettorale e demografico. La cosa che mi interessa di più, sia pure in un ruolo molto “smagrito”, è occuparmi del trasferimento di risorse alle Amministrazioni locali, le quali hanno subìto negli ultimi anni pesanti ridimensionamenti nelle “finanze derivate”, che sono la gran parte delle entrate che i Comuni ricevono dai trasferimenti dello Stato. Con l’Ici e con il Patto di stabilità interno c’è stato un progressivo assottigliamento delle finanze locali.

Cosa c’entra il Ministero dell’Interno, che si occupa di sicurezza e ordine pubblico?

Il Ministero dell’Interno esercita anche una condivisione dei ruoli e delle funzioni dei Comuni. A partire dalla finanza locale c’è da fare un’opera e un lavoro serio: consolidare un elemento di perequazione nel trasferimento di risorse, in modo che non ci siano “figli e figliastri”, e in modo che i servizi essenziali del Welfare siano garantiti in tutte le realtà d’Italia, indipendentemente dalla loro dislocazione geografica e a prescindere dalle “ricchezze” che in un dato luogo si producono.

Un supporto allo Stato sociale?

Un ruolo e una visione dello Stato sociale “alto”, che solo i trasferimenti statali, laddove le risorse scarseggiano, possono dare. Quindi un’opera redistributiva che deve essere equamente garantita. Lo considero un grosso impegno verso le realtà che hanno maggiori difficoltà. Mi raccontano che stanno crescendo i Comuni in dissesto, che non ce la fanno a chiudere il bilancio in pareggio. Questi Comuni che di fatto vanno in bancarotta, che non hanno risorse per garantire i servizi e qualche volta neppure i soldi per pagare il telefono, si rivolgono al Viminale. Ricordiamoci che i Comuni fanno funzionare lo Stato a livello periferico. Si tratta di stringere un rapporto di collaborazione che non riguarda solo l’erogazione di servizi, ma anche una “filosofia di intervento” che può facilitare quei fenomeni di democrazia partecipata che noi rivendichiamo.