Non siamo noi ad entrare nella “gabbia” ulivista

Ho sempre ritenuto non solo che il dissenso interno sia il sale della democrazia, come è legittimo e sacrosanto, ma anche che, gramscianamente, senza settarismi, bisogna ricercare il nocciolo di verità che può esservi nelle tesi dei contraddittori (e che aiutano ad indagare, a ricercare, a decidere insieme, ad agire con passione e tensione unitaria, parametri di grande rilevanza politica, per noi, in questa fase). Eppure le critiche dei compagni Grassi e Ferrando alla nostra proposta di coalizione democratica mi sembrano, in qualche modo, lo scrivo con rispetto, di maniera e pregiudiziali. La proposta va, infatti, letta in un combinato disposto, come direbbero i giuristi, con il lungo articolo di Fassino sull'”Espresso” e con le imbarazzate ed evasive dichiarazioni di tanti esponenti del centrosinistra (mi sembra, invece, che la sinistra diesse, i Verdi, segmenti dell’associazionismo organizzato abbiano compreso il tentativo, che la proposta viene ad esplicitare con tratto netto e non ambiguo, di mutamento di paradigma rispetto ad una contrattazione defatigante e, alla fine, perdente, per noi, fra il Triciclo e Rifondazione comunista).

La sfida è decisiva: la centralità del programma per l’alternativa risiede nell’asse moderato, che è prigioniero della sua coazione a ripetere le politiche disastrose dei governi ulivisti o, invece, nei movimenti, nelle esperienze locali, nel conflitto sindacale, nelle forze di opposizione radicale che possono tentare di irrompere nella formazione del programma?

Il passaggio dal rapporto fra Ulivo e Rifondazione alla “coalizione dei democratici” non è né nominalistico né tantomeno nostro ingabbiamento nel centrosinistra. Segna un mutamento di fase politica. Le forme contano, come ci insegnò il vecchio Marx, che di esse aveva cura scrupolosa e rigorosa, perché le forme di fatto racchiudono la costruzione di relazioni sociali e di potere. Non siamo noi ad entrare nella “gabbia” ulivista; anzi, tentiamo di mettere in crisi la riproposizione (più o meno mascherata), dopo il fallimento dell’Ulivo, di una politica dei “due tempi” con una elaborazione a scatole cinesi (prima il programma del Triciclo poi la contrattazione sui “paletti” che pone Rifondazione): la coalizione dei democratici spiazza le barocche architetture moderate perché allude ad una alleanza di nuovi soggetti nella quale, necessariamente, vi è pari dignità e chi ha “più filo tesse”. In tal modo, fra l’altro, può essere esaltato, dentro la coalizione, il ruolo della costituente della sinistra alternativa, che continuo a considerare ineludibile, non come mera sommatoria di gruppi dirigenti ma come capacità di coinvolgere nella elaborazione del programma culture, analisi, proposte, conflitti, che non consideriamo mera attivazione sociale ma nuova teoria politica, criticità antiliberista (e, in parte anticapitalista) e potenziale paradigma fondativo di una nuova politica e di un nuovo “spazio pubblico”. Condivido ogni proposta che apra varchi al movimento, che crei dinamismo nel rapporto dialettico fra movimenti e istituzioni.

Giovanni Russo Spena