Non serve un partito-aggregazione ma la costruzione di un forte partito comunista

Le elezioni europee ed amministrative che si sono svolte da poco hanno evidenziato alcuni elementi politici su cui è bene riflettere. Come molti hanno sottolineato Berlusconi ed il PDL non sfondano, come lui stesso aveva invece preannunciato, pur confermando un 35% che non è poca cosa, ma se consideriamo la somma di FI, AN ed alcuni centristi che sono entrati nel PDL, il totale (il PDL) è inferiore alla somma dei partiti che lo hanno composto dimostrando per l’ennesima volta che sommare forze diverse, per quanto collocate in una medesima area politica (in questo caso il centrodestra) non solo non aumenta i consensi ma, di poco o di tanto, li riduce. Questo è stato dimostrato sia dalla vicenda del PD (e suoi antenati) che da quella dei tentativi di costruire cartelli più o meno di “sinistra” (es. più eclatante l’Arcobaleno), per cui essendo che lo stesso fenomeno si è dimostrato sia per la destra che per il centro che per la sinistra se ne dovrebbe dedurre che si tratti di una “legge” della politica, cioè le aggregazioni funzionano ed ottengono maggiori consensi solo se avvengono tra forze che hanno una forte affinità politica, sociale e culturale. Quando, come nei casi citati, vi sono evidenti differenze si ottiene una perdita di consensi in tutte le basi sociali ed elettorali dei partiti che compongono l’aggregazione, più sono marcate ed ampie le differenze più questo fenomeno risulta consistente. Anche il risultato del PD che in questa tornata elettorale ha registrato una forte perdita di consensi conferma il ragionamento che abbiamo appena fatto, tale risultato è frutto, in parte, del venir meno dell’effetto “voto utile” delle precedenti elezioni politiche, ma è conseguenza anche delle forti lacerazioni e contrapposizioni interne, della contraddittorietà delle tendenze politiche e culturali che convivono nel PD che rendono difficile capire quale sia il progetto, la prospettiva di questo partito, tutto ciò unito ad una costante deriva moderata che lo ha portato in molte occasioni e su vari temi a rincorrere e scimmiottare le posizioni della destra hanno determinato quest’ultimo pesante arretramento. Oggi come oggi il principale elemento che attrae consensi al PD e che tiene assieme le sue varie anime (sempre sul punto di separarsi) è il fatto di essere la forza politica più grande di “opposizione” al PDL, se dovesse avanzare un processo di ridimensionamento del bipolarismo (e di sconfitta del bipartitismo) è possibile che questo partito vada in crisi e che torni a scomporsi in due o tre parti. Rafforza l’analisi che abbiamo sviluppato finora il risultato ottenuto da vari partiti, collocati in tutto l’arco dello schieramento politico, dalla destra come la Lega Nord, al centro come è il caso dell’UDC, al centrosinistra per IDV, che si sono fortemente rafforzati sulla base di una identità chiara ed una proposta precisa esattamente al contrario dei “partiti-aggregazione”. Il segnale è talmente forte e chiaro che risulta difficilmente comprensibile come vi siano ancora forze e dirigenti politici, intellettuali e mass-media che insistono per la “semplificazione del quadro politico” e la aggregazione forzata tra diverse soggettività politiche, come ancora si è tentato di fare con il referendum (fallito), non a caso sostenuto da PD e PDL (Berlusconi e Fini in prima fila) e come ancora si insiste a riproporre. Tranne qualche “servo sciocco e inconsapevole” chi sostiene questa prospettiva lo fa perché non gli interessano i destini dei partiti (anche del proprio) ma gli interessa invece la solidità del sistema (politico e sociale) per cui non importa quale è il partito che governa purchè entrambe le alternative in gioco siano interne e funzionali all’attuale sistema. Non c’è altro modo per spiegare la posizione suicida di buona parte del PD a sostegno di un referendum che avrebbe garantito, se passava, la vittoria per molti anni alla destra (anche oltre Berlusconi), ma nel contempo imponendo un sistema bipartitico avrebbe consegnato al PD (almeno nelle sue speranze) il ruolo di unico “competitore” in campo, e consolidato un modello politico istituzionale in cui non vi sarebbe stato spazio per forze realmente alternative all’ attuale sistema sociale. Resta da vedere se queste tendenze e queste riflessioni valgono anche per la sinistra. Al di là del già citato caso della lista Arcobaleno, anche questa tornata elettorale ci dice qualcosa in merito. Come sappiamo la sinistra in questo passaggio elettorale si è presentata divisa in due liste, da una parte Sinistra e Libertà e dall’altra la lista Comunista ed Anticapitalista. Già uno sguardo sommario ci fa notare che in tal modo le due liste hanno preso circa il doppio dei consensi che prese un anno fa la Lista Arcobaleno. Ma i due risultati a ben guardare non sono uguali, infatti il 3,1% di SL appare molto vicino al 3,4% della Lista Comunista, ma se ragioniamo più in dettaglio vediamo che il PSI ha un peso valutabile tra 1 e 1,5 % , i verdi altrettanto, SD ed ex-PRC entrambe tra 0,7 e 0,8 % , il tutto ci da tra il 4 ed il 4,5% per cui anche qui il cartello avrebbe portato alla perdita di una quota di elettorato tra il 25 ed il 33% delle formazioni che hanno dato vita alla lista. Discorso diverso per la lista comunista che di fatto risulta composta dal PRC (che pure ha appena avuto una scissione) e dal PDCI, dato lo scarso peso elettorale di socialismo 2000 e dei consumatori (difficilmente negabile) il 3,4% ottenuto se consideriamo almeno uno 0,8 perso per la scissione ci avrebbe dato un valore attorno al 4,2% (che peraltro avrebbe consentito il superamento del quorum). Ma vi sono anche altri aspetti da considerare, in primo luogo SL ha avuto una visibilità mediatica (non solo dai media del PD, ma anche dalle reti tv) molto più ampia della Lista Comunista (e non per caso), inoltre in SL sono confluiti la grandissima maggioranza dei dirigenti più noti del PRC (tra cui i 2 ex segretari nazionali) ed anche la fetta più grande di eletti ed ex eletti nelle istituzioni a tutti i livelli eppure porta con sé si e no ¼ dell’elettorato del PRC. Questa analisi ci dice che per quanto il risultato della Lista Comunista non sia stato soddisfacente in quanto non ha superato il quorum del 4% e quindi per la seconda volta si è determinata l’esclusione di tali forze dalla rappresentanza istituzionale, e questo è un fattore che alla lunga può avere un suo peso, d’altro canto questo stesso risultato per il contesto in cui si è determinato, di cui ho già detto prima, e dopo il disastro dell’Arcobaleno di solo un anno fa, ci dice che vi è stato anche un significativo recupero di consenso da parte del PRC e del PDCI, e tale recupero è avvenuto nel quadro di una lista unitaria con una chiara impronta comunista (peraltro non adeguatamente valorizzata in campagna elettorale). Ma se tutto quanto detto fin qui è vero, e mi sembra difficilmente confutabile, per quale motivo anziché sviluppare e portare avanti la proposta unitaria della Lista Comunista abbiamo assistito a questa improvvisa scelta di accelerare sulla proposta di federazione della Sinistra di Alternativa che, sia nell’appello che l’ha lanciata che nell’assemblea di Roma ripropone quei caratteri di partito aggregazione che furono propri sia della Sinistra Europea Sezione Italiana che del Progetto di Arcobalenopartito due strade che hanno già ampiamente dimostrato la loro fallimentarietà (e che rivive anche, con maggiore “ampiezza” e spregiudicatezza in SL, già evidenziando le contraddizioni che genera). Non basta dire che, però, questa federazione è autonoma dal PD e alternativa al sistema, cose che certo marcano una differenza da SL, ma che erano indicate sia nella Sinistra europea italiana che nell’Arcobaleno senza per questo evitarne il fallimentare risultato. Non basta anche perché oggi è comunque in campo un soggetto che, per quanto criticabile, tende ad occupare quello spazio politico che è appunto SL, e la federazione della sinistra di alternativa rischia di essere una scimmiottatura, una copia “un po’ più di sinistra” di SL (che certo non ci regalerà una esplicita connotazione moderata, almeno nel linguaggio, né una dichiarazione di subalternità al PD). Non basta perché non è possibile far finta di non vedere che molti dei cosiddetti “dirigenti” o “leader” dei “movimenti “ e delle associazioni su cui facevano leva sia la Sinistra europea italiana che l’Arcobaleno-partito sono oggi in SL (non avendo portato neanche lì un grande riscontro di consensi di massa) e che quindi questa operazione della federazione della sinistra alternativa oltre al PRC ed la PDCI non mette in campo, sul piano di forze realmente rappresentative della realtà sociale molto altro. In compenso anche nella assemblea di Roma abbiamo assistito, oltre che alla riproposizione da parte di alcuni del progetto dell’Arcobaleno (peraltro respinto dallo stesso Musacchio di SL che ha avuto il pregio di dire “siamo due sinistre diverse”) ancora alle “solite” requisitorie contro la forma partito ed i partiti, la solita retorica dell‘innovazione e delle reti fino all’autoconvocazione (di che cosa e da parte di chi?) che da quando sono state teorizzate e praticate hanno portato, in particolare nel PRC alla sua digregazione, al crollo dei consensi , e per la sua parte più avanzata su questo terreno: i giovani comunisti alla pressoché totale dissoluzione ed assenza dai movimenti di massa che pure tra gli studenti vi sono stati. Le esperienze evidentemente non insegnano nulla e il pregiudizio ideologico (questo si ideologico, anche se ammantato di “innovazione”) non può evitare la coazione a ripetere anche se ogni volta in sedicesimo gli stessi cliché, che non sono una “innovazione” di oggi ma sono in campo almeno dagli anni ’70 ed in 40 anni non sono riusciti a produrre uno straccio di risultato di crescita di consenso, di radicamento sociale, di costruzione del tanto vagheggiato “nuovo soggetto”. Anche perché tutte queste operazioni finiscono con l’essere racchiuse solo nell’ambito della “politica” e del ceto politico di partito o di “movimento”, delle varie lobby interne ed esterne ai partiti. Mentre quello che serve oggi per rilanciare in Italia un forte soggetto politico comunista ed anticapitalista non è la aggregazione di pezzi di ceto politico e di sigle di partito o di “movimento”, ma la costruzione di un partito comunista che sulla base di una analisi chiara della società attuale si dia un programma e degli obiettivi chiari e comprensibili dai nostri referenti sociali che ci consentano di tornare nel sociale non solo per “farci vedere” o per fare della “propaganda” (o peggio delle “azioni puramente mediatiche”) ma per ricostruire quella coscienza di classe e della necessità del cambiamento che sole possono far si che le esplosioni del conflitto non siano solo momentanee espressioni di rabbia e di rivolta, o peggio ancora non siano strumentalizzate e gestite dalla stessa destra che sfrutta le contraddizioni generate dal sistema economico e sociale capitalista per costruire in modo distorto un proprio consenso sociale. Tanti hanno sottolineato che la Lega ha preso molti consensi nel mondo operaio, pochi hanno detto che il 44% degli operai in questa ultima tornata elettorale non ha votato, evidenziando in questo modo sfiducia e senso di estraneità da un quadro politico in cui non vedono un partito in cui si riconoscono. Questo è il terreno su cui lavorare, assieme a quello dei giovani, spesso precari e sfruttati ma altrettanto estranei all’attuale politica degli operai di cui abbiamo appena detto, assieme ad altri settori sociali che potrebbero configurare un blocco sociale che è la vera ed unica base su cui si può ricostruire un forte e radicato Partito Comunista ed un più ampio sistema di alleanze sociali e politiche che può cercare di modificare gli attuali rapporti di forza tra le classi nel nostro paese, e non solo cercare di sommare pezzetti per superare l’ennesimo quorum elettorale. E se proprio vogliamo guardare a settori politicizzati, lo abbiamo detto già altre volte, dovremmo cercare di rivolgerci a quelle centinaia di migliaia di militanti comunisti che sono passati in questi anni dal PRC e dal PDCI e che oggi non sono in nessuno dei due partiti ma che sono ancora attivi nei conflitti sociali che siano del lavoro, della scuola, contro le basi militari o sulle tematiche ambientali e che per essere coinvolti devono vedere una proposta ed una prospettiva chiare e di classe e non la solita aggregazione dei “ma anche” che in varie forme continua, senza successo, ad essere riproposta a sinistra. Concludo su un punto che ritengo importante per quanto la federazione della sinistra alternativa sia partita con una impostazione che ripropone modelli e cliché che, come ho detto, ritengo siano sbagliati e fallimentari non è detto che per forza di cose sia quello il suo sbocco. Anzi! i limiti e le contraddizioni, le debolezze che tale impostazione implica ed evidenzia mi convincono che tale processo possa essere influenzato da una forte battaglia politica che le componenti comuniste delle forze che partecipano alla federazione devono portare avanti, non solo sarebbe bene che tale battaglia politica fosse irrobustita dal contributo di molti comunisti che oggi sono al di fuori dei due partiti e della federazione. Rafforza questa mia impostazione la convinzione che se dovesse prevalere l’opzione del partito-aggregazione ci troveremo in breve tempo di fronte all’ennesimo fallimento da cui ricostruire, mentre di converso se dovesse prevalere nella federazione la prospettiva comunista e di classe, questo potrebbe essere un primo importante passaggio per la ricostruzione in Italia di un forte e radicato Partito Comunista. L’esito cui giungerà la federazione non si determinerà automaticamente, dipenderà dalla capacità delle forze in campo di concretizzare i connotati di questo processo a partire dai territori e dalla capacità delle componenti comuniste della federazione di sviluppare una battaglia politica che influenzi tale percorso, per questo l‘errore più grande sarebbe quello di assecondare il processo con un profilo politico basso con l’illusione e la speranza che per “forza di cose” si vada nella giusta direzione, le esperienze, anche recenti, ci insegnano che, purtroppo le cose non vanno così.