Tony Blair e George Bush, dopo aver pianificato e realizzato il disastro iracheno, ora ne preparano un altro in Libano, uniti contro il resto del mondo nel respingere un cessate il fuoco immediato. Ieri il presidente americano e il premier britannico si sono incontrati per discutere soprattutto di un punto: la cosiddetta «forza di stabilizzazione» in Libano del sud. L’intento è quello di dare vita ad un contingente multinazionale armato che, di fatto, avrà un unico compito: tenere lontano dal confine e disarmare la resistenza libanese, Hezbollah. Nonostante gran parte delle forze politiche libanesi, incluse alcune di quelle «anti-siriane», abbiano ripetuto in questi giorni che togliere con la forza le armi al Partito di Dio è fuori discussione e che il punto vero è quello di ridefinire la strategia di difesa del paese – sulla base del «dialogo nazionale» già in corso – tenendo presente la minaccia israeliana e l’occupazione delle Fattorie di Sheba. L’approvazione all’unanimità da parte del governo, quindi anche con i voti dei due ministri di Hezbollah, del piano in sette punti illustrato del premier Fuad Siniora a Roma, rappresenta un’evidente volontà di procedere sul terreno della unità nazionale e di evitare uno scontro interno che i libanesi non vogliono. Londra e Washington neppure prendono in considerazione di cosa si discute in Libano.
Il quotidiano Guardian ha scritto che Gran Bretagna e Stati Uniti stanno lavorando ad una bozza di risoluzione sul Libano diversa, almeno in parte, dalla proposta che la Francia vuole presentare «al più presto» al Consiglio di Sicurezza delle Onu. La bozza di Usa e Gb prevede due diverse fasi: la prima è una dichiarazione di un cessate il fuoco fra Israele e Libano, con il dispiegamento di una forza multinazionale di dimensioni ridotte alla frontiera. La seconda prevede il dispiegamento di una forza più consistente, composta da un numero di militari compreso fra i 10mila e i 20mila, che avrà come mandato di attuare la risoluzione 1559 sul disarmo delle «milizie», ovvero Hezbollah. È in sostanza quello che vuole Israele. La bozza di risoluzione francese invece parla «di fine immediata della violenza», la «consegna dei prigionieri a una terza parte che gode della fiducia dei due belligeranti», l’avvio di uno sforzo di mediazione dell’Onu per arrivare a «un accordo quadro generale» e il dispiegamento di una forza multinazionale per creare una zona cuscinetto fra Libano e Israele. Sull’invio di militari internazionali Hezbollah ha subito messo in chiaro che accetterà soltanto un allargamento del contingente Unifil, cioè di osservatori disarmati. «Il nostro impegno è quello di conservare ad ogni costo l’unità nazionale del Libano aggredito dai sionisti (Israele, ndr) – ci ha detto ieri sera a Beirut il ministro dell’energia Mohammed Fneish (Hezbollah) – forze straniere stanno cercando di plasmare i destini del Libano sulla base degli interessi strategici di Israele che pure occupa ancora parte del territorio libanese e altre terre arabe, tiene in carcere combattenti libanesi e ogni giorno uccide donne e bambini in Palestina. Queste forze devono sapere che noi non accetteremo alcun accordo umiliante per il Libano».
Fneish non ha fatto riferimenti alla questione dei due soldati israeliani nelle mani dei combattenti di Hezbollah dal 12 luglio ma l’impressione è che qualcosa cominci a muoversi. Ieri mattina il quotidiano Al-Hayat ha riferito che Israele e Partito di Dio avrebbero avviato contatti, attraverso mediatori tedeschi e la Croce Rossa, per uno scambio di prigionieri. Poco dopo è giunta la proposta del presidente del Parlamento libanese Nabih Berri – scelto come mediatore da Hezbollah – che ha ipotizzato la liberazione dei due soldati in cambio della scarcerazione di soli detenuti libanesi e non più arabi e palestinesi. Proposta che Eivel Bermel, portavoce del ministero degli esteri israeliano, ha trovato «senz’altro interessante».
Israele, che ha respinto sino a ieri l’idea di una trattativa e ha scatenato una offensiva devastante contro il Libano che ha fatto centinaia di morti, adesso sarebbe disposto a negoziare la liberazione dei suoi soldati.
Con il passare dei giorni sta emergendo sempre più netto il ruolo di Nabih Berri. Il Segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah, che per motivi di sicurezza vive in completa clandestinità, lo ha scelto come suo canale privilegiato di comunicazione con le altre forze politiche libanesi e con l’esterno. Ma ad invocare una sua più decisa azione sulla scena nazionale sono giornali di tutte le tendenze e colore politico. Sciita ma laico, leader del partito Amal che sostiene la resistenza ma non vi prende parte attivamente, Berri è visto come il punto di congiunzione tra le forze libanesi anti-siriane ed Hezbollah, ma anche l’interlocutore dell’Europa, persino più del premier Siniora.
Due giorni fa il quotidiano liberal Daily Star lo ha esortato a «salvare il Libano». Un ruolo al quale Berri non si sottrae, continuando allo stesso tempo a dire quello che pensa. Ieri in una intervista ad Al Jazeera, il presidente del Parlamento ha dichiarato: «Non credevo che le cose arrivassero a questo punto. Non esistono le Nazioni Unite, ma gli Stati Uniti. La Roma del XXI secolo è a Washington». Il leader di Amal ha sottolineato di «non essere un partner della resistenza, ma un elemento della resistenza che vincendo porterà alla pace». Allo stesso tempo ha voluto ribadire con forza che il governo presieduto dal primo ministro Fouad Siniora «rappresenta il Libano e tutti noi».