«Non chiamiamola guerra, perché rischia di diventare tale»: così invitava ieri sulle pagine di Repubblica Arturo Parisi, riferendosi alla missione in Afghanistan. Per il ministro della Difesa quello che sta accadendo nella nostra area di pertinenza è un´altra cosa, «sia perché dire guerra rischia di chiamare alla guerra, all´uso crescente di mezzi e di metodi di guerra: e talvolta, per questo solo fatto, di produrla».
Ma l´ala sinistra della maggioranza non accetta l´invito e lo dice chiaramente. «Avvertiamo il governo: non cerchi di ciurlare nel manico», dice Giovanni Russo Spena, capogruppo di Rifondazione comunista al Senato. «Se accederà alle richieste dei militari, di inviare in Afghanistan gli elicotteri Mangusta, che sono senza dubbio armi offensive e non di difesa, noi diremo seccamente no, nel rispetto del decreto e degli ordini del giorno che abbiamo approvato».
Russo Spena parlava dalla conferenza organizzativa del Prc, a Carrara. E dalla stessa tribuna anche Franco Giordano, segretario del partito, ha ribadito – con accenti più sfumati – lo stesso concetto: «Abbiamo già segnato con un decreto e con una mozione che rappresenta l´impegno del parlamento il nostro orientamento. Non possiamo derogare dai principi che abbiamo deciso insieme».
A chi gli chiedeva se fosse possibile una modifica della missione, Giordano ha aggiunto: «Noi abbiamo l´articolo 11 della Costituzione che ci impedisce di partecipare attivamente ad un teatro di guerra».
Nell´intervista a Repubblica, il ministro aveva sottolineato la natura “duplice” dell´intervento: da un lato missione di pace per aiutare il governo afgano a consolidarsi, dall´altro, per gli americani, «guerra al terrorismo». Per questo Parisi si augurava che la Nato mettesse ordine per riunificare queste due visioni.