Nei mesi che hanno preceduto il voto amministrativo, tutto il Partito, dal corpo militante agli organismi dirigenti, è stato coinvolto nella conferenza di organizzazione, che ha inteso affrontare questioni nodali della nostra modalità di essere e fare partito. Il documento in discussione alla conferenza è stato un documento che ha messo a nudo, crudamente, i nostri punti critici, pur scontando il limite di aver fotografato lo stato del Partito senza indagare fino in fondo le cause che lo hanno determinato. Ricordiamo a noi tutte/i che abbiamo affrontato questioni riguardanti la democrazia interna, la democrazia di genere, i processi deleteri di personalizzazione della politica, verticismo, separatezza fra il corpo del partito e i luoghi delle decisioni, la cristallizzazione correntizia. Tutte questioni che hanno subito un’accelerazione involutiva dal congresso di Venezia, un congresso a mozioni contrapposte, che ha sancito la prerogativa della gestione del partito appannaggio solo della mozione maggioritaria, ha introdotto pesanti elementi di separatezza, contrapposizione all’interno del partito, e che ha pesantemente contribuito alla disaffezione alla militanza politica. A partire da questo stato di cose, dalla conferenza di organizzazione è emersa chiara una direzione operativa che aiutasse il partito a superare tali difficoltà: il rafforzamento del partito, con la conservazione del simbolico ad esso legato.
Cosa si è verificato di tanto sconvolgente da mettere repentinamente in discussione il risultato di un confronto democratico che ha investito il partito tutto?
Si è costituito, da una parte, il Partito Democratico, a cui non ha aderito la sinistra Ds che fa capo a Mussi e Angius, e, dall’altra, vi è stato il voto amministrativo!
Il risultato elettorale negativo del nostro Partito alle elezioni amministrative (veramente inaspettato?!) può trovare diverse chiavi di lettura e può farne scaturire, quindi, ricette risolutive diverse. Si è guardato con allarme soprattutto al risultato elettorale del Nord, perché è stato quello che nel passato ha garantito alle elezioni amministrative percentuali di consenso ritenute positive, mentre i risultati conseguiti al Sud sono sempre stati inferiori, poiché il voto amministrativo è la cartina di tornasole di due processi speculari: l’effettiva capacità di radicamento del partito da una parte, la degenerazione del voto di preferenza (compravendita di voti, clientelismo, pratiche ricattatorie, malaffare…) dall’altra.
Di fronte a questo risultato c’è chi ha colto l’occasione per parlare di esaurimento della capacità attrattiva del nostro Partito e del simbolico ad esso legato: può aversi nell’arco temporale di un anno un cambiamento tanto repentino nel consenso legato alla causa di cui sopra? Riteniamo questa tesi insostenibile. Allora cosa è successo in questo anno? Piaccia o non piaccia è stato un anno di governo, con tutte le contraddizioni legate alle scelte operate che hanno determinato una non piena condivisione da parte della nostra base, iscritti ed elettorato di riferimento: questione della guerra, precarietà, scalone pensionistico, questione sociale e salariale… Le posizioni moderate dominanti nell’Unione e la nostra impossibilità di operare scelte diverse dall’appoggio al governo hanno determinato sfiducia nel nostro elettorato e demotivazione nel corpo del Partito.
In quale direzione andare? Urge dare continuità coerente alla conferenza di organizzazione, rigettando pratiche dirigistiche ancora fortemente presenti ai diversi livelli e coinvolgendo le/i compagne/i e alla ricostruzione del partito su tutto il territorio, dal Nord al Sud, al suo radicamento, alla costruzione di una classe dirigente che abbia un contatto continuo e diretto con il nostro popolo di riferimento e che nel simbolico collettivo non rappresenti il ceto politico che vive nella torre d’avorio e che ha perso la capacità di percepire pienamente cosa significhi vivere di fatica e di stenti. E che allo stesso tempo operi nella direzione della crescita dal basso della cosiddetta “massa critica”.
Solo così facendo si scongiurerà l’ennesima operazione politicista che assembla fra di loro ceti politici e che si presta ad una lettura spietata dell’elettorato in termini di sopravvivenza di apparati. Il patrimonio di Rifondazione Comunista non può essere buttato alle ortiche; non si può rinunciare alla politica di genere, al rapporto con le istanze di base, al vivere il governo come mezzo e non come fine.
L’ipotesi di soggetto unitario implica nei fatti l’inaccettabile rinuncia a questo patrimonio sedimentato. Sposeremmo quindi il governismo “senza se e senza ma” di Sinistra Democratica (Mussi sostiene che il soggetto unitario serve a rafforzare questo bipolarismo!!!), del Pdci (ci ricordiamo, vero, come nasce questo partito?!), dei Verdi? Ed il rapporto con i movimenti che fine fa?
Va sicuramente indagato un terreno di iniziativa politica comune non solo a livello nazionale ma anche sui territori, a partire da alcuni elementi irrinunciabili che attengono alla questione morale, ad una chiara presa di distanza dai trasformismi e conseguenti affarismi, che sia capace di fare della partecipazione un terreno praticato e non solo enunciato, che assuma pienamente la questione di genere, la questione sociale, la scelta fondante dell’anti-capitalismo. Questo percorso potrà essere verificato nelle diverse situazioni senza che questo debba significare rinunciare al grande patrimonio di esperienze ed elaborazione che ha rappresentato e rappresenta Rifondazione Comunista.
Bianca Bracci Torsi (Direzione Nazionale Prc)
Nori Brambilla Pesce (Staffetta Partigiana)
Maria Campese (Direzione Nazionale Prc)
Tina Costa (Staffetta Partigiana, Pres. Cpf Roma)
Silvia De Bianchi (Coord. Naz. G.C.)
Rita Ghiglione (Cpn)
Costanza Pace (Cpn)
Donella Petrucci (Cng)
Serena Santilli (Cpn)
Claudia Valsecchi (Cpn)