Messaggio Fiat e governo «stanno perdendo tempo» alla ricerca di un accordo che prevede la mobilità degli “esuberi”, cioè il loro licenziamento, per rinviarli a un percorso di ricollocamento. Se questa è la soluzione che può mettere d’accordo il Lingotto e il ministro
del Welfare Roberto Maroni allora si tratta di fatica sprecata: «Perché i metalmeccanici i licenziamenti non li firmano, né con la Fiat né con il governo». Il messaggio che il segretario della Fiom, Ganni Rinaldini, manda dal palco del ventiquattresimo congresso nazionale è chiaro e forte: no a qualsiasi ipotesi di licenziamento da parte del gruppo torinese con la benedizione del governo. Ma non è tutto: «E’ necessario aprire, nelle prossime settimane, la vertenza Fiat – aggiunge Rinaldini – per la semplice ragione che la situazione non è più sostenibile ed è bene che nessuno pensi o si illuda che la condizione di lavoro e retributiva siano un aspetto secondario del futuro del gruppo».
A pochi giorni dall’ennesimo annuncio trionfale – da parte del Lingotto – sui risultati acquisiti, del rilancio avviato, della «svolta» avvenuta, il leader dei metalmeccanici Cgil porta in primo piano l’altra faccia del pianeta Fiat: «I problemi di prospettiva – spiega – rimangono per intero e oggi è possibile affrontarli in una condizione finanziaria diversa rispetto a un anno fa». Una situazione resa possibile anche dal fatto che «i costi pagati dai lavoratori in questi anni sono stati enormi», come dimostra il fatto che «l’ultimo accordo aziendale di gruppo risale al 1996». Quindi la Fiom mette sul tavolo (che ancora non c’è) le proprie condizioni: «Sulla base dei dati finanziari annunciati non è più eludibile il fatto che la famiglia decida se spendere risorse per un rilancio credibile del gruppo».
Davanti a una platea composta da 731 delegati e da una quarantina di rappresentanti di organizzazioni sindacali di tutto il mondo, Gianni Rinaldini parte dalla Fiat per analizzare la situazione complessiva del sistema industriale italiano, che «è tale da costituire un banco di prova per il nuovo governo, ed è forte la sensazione – aggiunge – che in questa fase molti nodi fondamentali vengano rinviati con il rischio di un incrocio di un’enorme questione sociale». E’ inesorabile il suo giudizio sul quinquennio berlusconiano: «Questo è un paese allo sbando, la situazione è persino pericolosa, si sono rotti gli argini delle garanzie democratiche e dobbiamo saperlo: una conferma di questo governo sarebbe una vera sciagura per il paese e per i lavoratori». Ma non fa sconti neanche alla pur auspicata alternativa di centrosinistra, peraltro ampiamente rappresentata nelle prime file del Palacongressi d’Abruzzo: «Nello stesso tempo diciamo agli altri, da Mastella a Bertinotti, che noi non abbiamo governi amici. Possiamo avere governi avversari – ribadisce tra gli applausi – ma non governi amici».
La relazione di Rinaldini affronta anche i nodi che hanno animato il dibattito di questi mesi. Senza rinunciare, ancora una volta, a ricordare le proprie divergenze dalla linea maggioritaria finora espressa da Epifani: il passaggio più delicato è quello della concertazione. Parte dalla rilettura della tormentata trattativa per il rinnovo del biennio economico per spiegare che non vi è dubbio che le questioni poste dal fronte imprenditoriale riguardino l’intero movimento sindacale. Non è casuale, secondo Rinaldini, che già il giorno dopo la chiusura dell’accordo il vicepresidente di Confindustria, Alberto Bombassei, abbia chiesto l’apertura del tavolo confederale sulle regole. Perché? Perché «ciò che non è passato nel contratto dei metalmeccanici sarà al centro del confronto confederale. Diventa essenziale capire se quando si discute di regole deve essere escluso qualsiasi tentativo di introdurre la regolamentazione dell’orario di lavoro».
Epifani interverrà al congresso domani. Nel frattempo il messaggio viene raccolto da Cesare Damiano, responsabile Lavoro dei Ds. «Sono d’accordo – commenta – sul fatto che non debbano esistere governi amici dei sindacati, né sindacati amici dei governi. La tutela salariale passa attraverso due strumenti fondamentali: il contratto nazionale e un patto di equità fiscale. Ma questo percorso va completato in un grande patto sociale che affronti anche la revisione delle regole».