E’ stato particolarmente affascinante trovarsi negli Stati Uniti questa settimana ed assistere alle reazioni che ha provocato la vittoria del movimento islamista palestinese, Hamas, alle elezioni legislative di mercoledì. I commenti ufficiali e quelli sui media negli Usa e nel resto del mondo occidentale mostrano l’incapacità di percepire la natura storica di quello che è successo, in quanto Hamas e il resto del Medio Oriente continuano ad essere giudicati come cartina di tornasole della loro accondiscendenza alle richieste di sicurezza da parte di Israele. Questa è una tragica infamia, perchè la vittoria di Hamas, che è arrivata dopo i trionfi di movimenti islamici in Egitto, Libano ed Iraq, offre anche potenziali opportunità politiche se solamente menti più lucide prevalessero da entrambe le parti. Dico potenziali opportunità perchè l’ascesa al potere di Hamas resta avvolto in molte incertezze ed inquitudini che preoccupano molti in Medio oriente e in altre parti del mondo. Hamas non la certezza di avere successo come partito al potere. Sono tre i punti chiave che riguardano la vittoria di Hamas. Il primo è che la campagna elettorale non è stata un referendum sulla pace o la guerra con Israele. Hamas non ha vinto perchè ha promesso che cancellerà lo stato di Israele. Ha vinto perchè ha promesso di radirizzare alcune delle terribili ineguaglianze e distorsioni che hanno marcato la società palestinese negli ultimi anni. Queste includono la corruzione e l’incompetenza del sistema governativo dell’Autorità palestinese, l’illegalità diffusa ai livelli locali, e l’umiliante incapacità di proteggere le comunità palestinesi davanti alle continue violenze delle forze di occupazioni israeliane. Hamas ha vinto perchè i palestinesi pensano che possa fare un lavoro migliore di Fatah nel riportare ordine e autorispetto nella vita di tutti i giorni. Il secondo importante aspetto dei risultati elettorali è che ora Hamas dovrà confrontarsi con la responsabilità e l’affidabilità che accompagna chi governa. Come autorità governativa democraticamente eletta, Hamas dovrà agire in un modo tale da rappresentare il più ampiamente possibile la maggioranza dei palestinesi. Quella maggioranza ha chiaramente e espresso il desiderio di negoziare una giusta e permanente pace con Israele e di coesistere con quello Stato, piuttosto che cancellarlo dalla faccia della Terra. Il terzo importante punto riguardo alla vittoria di Hamas è che rappresenta una leadership politica credibile, cosa rara nel moderno mondo Arabo. La massiccia vittoria di Hamas rappresenta anche uno storico e pacifico trasferimento di potere in uno Stato governato da un mono partito, Fatah, ad un partito di opposizione che è salito al potere in elezioni democratiche. Ci sono importanti differenze tra le cause che hanno determinato la vittoria di Hamas e le sue possibili conseguenze. Questo deve essere distinto se questa vittoria possa produrre risultati positivi per i palestinesi, gli israeliani e per il resto della regione e il mondo. Hamas viene giudicata quasi solamente sulla rinuncia alle armi e se riconoscerà ad Israele il diritto di esistere, ignorando in modo clamoroso il fatto che Hamas prese le armi per la prima volta solo per resistere alla occupazione di Israele dopo il 1967. Sarebbe una terribile tragedia e una grande opportunità mancata se Israele, gli Stati Uniti e il resto del mondo civilizzato ripetesse gli stessi errori che hanno fatto che hanno dato origine ad Hamas. E sopratutto, la nascita, l’ascesa, e il trionfo politico di Hamas riflette una risposta, sostenuta dai palestinesi, alla politica della colonizzazione promossa da Israele con il sostegno Usa, a danno dei diritti nazionali della Palestina. Per decenni, Tel Aviv e Washington si sono rifiutati di riconoscere che Hamas (come gli Hezbollah) è nata come reazione all’occupazione israeliana e gli abusi contri i diritti degli arabi e la loro integrità nazionale. Le politiche di Hamas devono essere viste nel contesto della lotta tra israeliani e palestinesi. Chiedere unilateralmente ad Hamas di disarmare la sua ala di resistenza o di riconoscere il diritto di Israele ad esistere non otterrà nulla se tale richiesta non sarà accompagnato da un impegno parallelo di Israele a mettere fine agli omicidi mirati e alle colonie. Le priorità urgenti dei possibili mediatori terzi sono quelle di lavorare pazientemente ad un processo che identifichi diritti e aspirazioni di israeliani e palestinesi, e attivare la diplomazia perchè siano riconosciuti.
* Rami G. Khouri è un giornalista del quotidiano Daily Star di Beirut e dell’International Herald Tribune