Luciano Gallino è professore ordinario di Sociologia presso la Facoltà di Scienze dell’Educazione dell’Università di Torino. Lo abbiamo intervistato a proposito della polemica aperta da Edmondo Berselli su “Repubblica” con l’affermazione che «le corporazioni temono le vendette della sinistra», ripresa ieri da Massimo Cacciari che parla «non di vendetta ma di deficit culturale» e condivide la tesi che «la sinistra non sa parlare alla nuova borghesia italiana».
Professor Gallino, è così? la sinistra non sa parlare alla nuova borghesia professionale?
Intanto bisognerebbe intendersi su che cosa sia questa nuova borghesia, perché tutto sommato essa assomiglia molto alla borghesia di un tempo. Quando si parla di ceti produttivi, di nuovi imprenditori, non mi pare che si possano identificare delle reali novità, che possono venire semmai dai grandi dirigenti d’azienda, dall’insieme di professioni che ruota intorno alla finanziarizzazione dell’economia. Ma se parliamo, come ne parla Cacciari, di ceto produttivo, di imprenditori e lavoratori autonomi, beh, questo assomiglia molto alle classi sociali etichettabili allo stesso modo venti o trent’anni fa.
La protesta dei tassisti e adesso la sollevazione dei primari ospedalieri sembrerebbero dare ragione a quella tesi, o c’è dietro uno iato più profondo?
Non mi pare affatto che sia un problema di comunicazione, perché se uno dice «le tasse le devono pagare tutti, non si fanno più condoni», il messaggio sembra molto chiaro. Che poi vi siano persone o anche ceti interi che questo non lo gradiscono è nella logica delle cose, ma non mi sembra che ci sia un problema di comunicazione. Alcuni di questi fatti sono stati anche un po’ ingigantiti, perché non è nemmeno vero che ci sia una rivolta dei primari contro le proposte di Livia Turco. Ci sono molti primari che dicono «dateci i mezzi per fare anche la professione intra moenia e noi ci adegueremo». Comunque non mi pare sia un grande conflitto, e anche gli altri “conflitti” sembra che si siano esauriti abbastanza rapidamente. Non userei tutta questa enfasi.
Berselli parla di 17mila italiani con redditi dichiarati sopra i 200mila euro e 65mila possessori di barche sopra i 17 metri. In questo divorzio dalla sinistra dei ceti abbienti c’entra il fatto che si sentono minacciati dai provvedimenti antievasione?
Direi di sì, anche se si tratta di vedere quali saranno le misure effettive per correggere la distorsione del dato fiscale. Qualunque commercialista può dire che 17mila persone con un imponibile di 200mila euro l’anno probabilmente ci sono soltanto a Milano, o soltanto a Roma, non certo in tutta l’Italia. E’ un dato offensivo, per certi aspetti, che si collega a tanti altri dati che riguardano l’evasione e l’elusione fiscale. Tra l’altro sono dati che, mentre ad esempio negli Stati Uniti sono pubblici, e chiunque va sul sito del Dipartimento dell’Economia trova quanti pagano quante tasse per quali livelli di attività, in Italia si trova poco o nulla, e se si va sul sito della Agenzia delle Entrate quello che trova sono le dichiarazioni dei redditi del 1995, se non del ’94. Cioè di dieci anni prima. Con ciò è molto difficile fare anche politica economica. Si presuppone che lì c’è un livello di informazione sull’andamento dell’economia pubblica abbastanza diffuso e generalizzato mentre qui da noi si tratta di materia per pochi iniziati.
Cacciari sostiene che nel Nordest Benetton e Stefanel sono stati i capofila di «un sistema produttivo innovativo» ma che i sindacati non l’hanno capito e la sinistra si è limitata a fotografare «l’idea di una borghesia individualista, egoista, incapace di assumersi una responsabilità pubblica». Lei che ne pensa?
Mi sembra che semmai la sinistra, o almeno una parte della sinistra, non abbia capito e non abbia fatto fronte a uno degli aspetti centrali della globalizzazione, interpretato da imprenditori come i Benetton, che sono stati tra quelli che hanno inaugurato in Italia un nuovo modello mondiale di organizzazione produttiva, e cioè: invento qui e faccio fabbricare nei paesi dove il lavoro costa dieci, quindici volte di meno. In questo hanno seguìto molti imprenditori europei, francesi, americani. Non è che sia stata, come dire, una grande invenzione sociale. E’ stata una modalità di riorganizzazione delle strutture produttive che si concentrava, più che sull’innovazione del prodotto, sul taglio del costo del lavoro e sul ricorso a manodopera a bassissimo costo nei paesi in via di sviluppo e in paesi senza diritti. Non credo sia il caso di inchinarsi dinnanzi a questo tipo di borghesia. Ha fatto quello che ha fatto la borghesia in tutto l’occidente industriale: tenere la parte ideativa e progettuale nel proprio paese e mandare il lavoro in altri paesi dove appunto i salari sono dieci o venti volte di meno, salvo poi lamentarsi a Bruxelles della concorrenza sleale cinese.
Una delle accuse, che giustificherebbero questo disamoramento tra ceti professionali e centrosinistra, è che il nuovo governo avrebbe introdotto «una politica del sospetto» che ha prodotto «una borghesia spaventata». E’ così o c’è dell’altro?
Certamente se uno paga poche tasse per decenni e poi improvvisamente qualcuno gli dice «d’ora innanzi le tasse bisogna pagarle», è chiaro che questo spaventa. Ma mi pare che questa forma di spavento sia il presupposto di una politica economica un po’ più efficace e un po’ meno orientata unicamente al 20 se non al 10% della distribuzione superiore del reddito. Perché questo è il dato: il nostro paese è uno dei tre paesi più disuguali del mondo. Gli altri due sono la Gran Bretagna e gli Stati Uniti. In base ai redditi dichiarati, che sono sempre soltanto una parte del totale, stando all’indagine della Banca d’Italia sui bilanci famigliari, il rapporto tra il 10% superiore di reddito e il 10% inferiore è di oltre dodici a uno. Quello reale probabilmente è di molto superiore; questo non esiste in altri paesi; non esiste ad esempio in Germania in Svezia o in Danimarca. E allora se qualcuno lascia intendere che forse questa distribuzione del reddito non è giusta, non è corretta, e dovrebbe cambiare, beh, allora è possibile che quel 10% finora beneficiato abbia qualche motivo di preoccupazione.