Non dimentichiamo la lezione di Chernobyl

Gli anniversari devono essere insegnamenti per il futuro. Dopo 21 anni, della catastrofe di Chernobyl è più quello che non sappiamo di quello che sappiamo: forse la verità non la sapremo mai, soprattutto sulle conseguenze di lungo termine. Fino dai primi momenti sono state cancellate troppe prove determinanti: e dopo l’allarme dei primi tempi la classe politica e la comunità scientifica hanno cercato di sminuirne le conseguenze.
Del resto, chi parla più delle conseguenze di centinaia di test nucleari condotti in atmosfera? (Ma un reattore nucleare contiene una radioattività molto superiore a quella rilasciata da un’esplosione nucleare). Troppo grandi sono gli interessi in gioco. Rimane più che mai vero che «il problema è politico».
Lo è per il nucleare come per le altre fonti energetiche. C’è forse qualche segnale di resipiscenza per lo sfruttamento forsennato del petrolio e del gas naturale per la consapevolezza che stiamo raggiungendo il picco di estrazione e la loro disponibilità crollerà per la metà del secolo? Del resto, i costi crescenti li pagheremo noi e non certo le società petrolifere: alleate all’anacronistica industria dell’auto, ci costringeranno a comperare ugualmente i carburanti fino all’ultima goccia, se non riusciremo a imporre un radicale cambiamento degli stili di vita e di consumo. Ma la posta vera di questa epocale sfida politica è l’intero sistema neoliberista: sull’altro piatto vi è la sopravvivenza dell’umanità.
La principale critica alle proposte di rilancio del nucleare consiste oggi nel fatto che alimentano l’illusione che potremo continuare a consumare energia senza limiti; del resto, vi sono profondi legami tra gli interessi nucleari e petroliferi. Possiamo smontare tutte le altre motivazioni, più o meno nobili, addotte a favore del nucleare, ma non servirà a molto se non affronteremo la sfida più alta. La ripresa del nucleare sembra inevitabile: nel quadro della privatizzazione del mercato dell’energia, Westinghouse, General Electric, l’europea Areva, la giapponese Mitsubishi, l’industria russa, l’India, vi stanno investendo somme enormi. La nostra Ansaldo ha ricostituito il settore nucleare. Problemi e contraddizioni verranno scaricati sulle generazioni future: il capitale divora anche i propri figli.
Il discorso è lo stesso per l’altra faccia del nucleare, il militare, inscindibile dal «civile», come provano i contenziosi con la Corea del nord e l’Iran. A che cosa servono oggi le armi nucleari se il loro uso, a dispetto della fine dell’equilibrio (del terrore) bipolare, minaccia una distruzione planetaria? Il problema è politico. Lo scudo spaziale non viene certo eretto per difenderci dalla patacca del pericolo di ridicoli missili iraniani o nord coreani.
I conti economici del nucleare «civile» non tornano (e l’uranio è destino a costare di più e a scarseggiare, come le altre risorse non rinnovabili): i programmi nucleari «civili» crescono all’ombra di programmi militari (ufficiali o segreti), i quali ne costituiscono la base. In questi 60 anni sono stati realizzati nel mondo poche centinaia di reattori, a fronte di 130 mila bombe!
I problemi sono politici, ma vanno affrontati anche approfondendo e allargando la conoscenza. Il nucleare produce solo energia elettrica (meno del 17 per cento dei consumi energetici mondiali). La conclamata riduzione delle emissioni di CO2 è ampiamente discutibile (varie fasi del ciclo di estrazione, costruzione, smantellamento ne producono), comunque parziale, e per essere efficace richiederebbe la costruzione di un numero di centrali superiore a tutte quelle costruite in mezzo secolo. Con la tecnologia nucleare abbiamo riempito il pianeta di inconcepibili quantità di materiali radioattivi artificiali, alcuni praticamente indistruttibili, i cui costi nessuno sa calcolare; e abbiamo provocato un inquinamento radioattivo dell’atmosfera terrestre di inaudita gravità, di cui l’opinione pubblica è tenuta all’oscuro: perfino l’Oms parla di una «epidemia di cancro».
Ma anche il problema delle alternative non è meno politico. Se le fonti energetiche rinnovabili rimarranno subordinate agli interessi economici che controllano il petrolio e il nucleare, andranno più a rimpinguare quelle tasche che a risolvere i problemi energetici e ambientali.