«Non ci fermeremo». Parla Garcia Linera

La firma dei 44 nuovi contratti fra la compagnia statale Yacimientos Petroliferso Fiscales Bolivianos (YPFB) e le transnazionali che operano in Bolivia, il 28 ottobre scorso, approvati dal senato nella stessa seduta notturna di martedì al senato, è riuscita a invertire la caduta politica del governo e ricreare un clima di ottimismo collettivo. Essa ha sortito un duplice effetto: uno emotivo – rinfocolando i sentimenti nazionalisti che ebbero il loro climax nella nazionalizzazione degli idrocarburi del primo maggio scorso – e l’altro pragmatico – garantendo investimenti e cospicui introiti allo Stato per i prossimi 30 anni.
Il vice-presidente della repubblica, Alvaro Garcia Linera, ricevendomi nel suo modesto appartamento nel quartiere paceño di Sopocachi, dice che ora in Bolivia c’è stabilità macro-economica e finanziaria, perché l’amministrazione di Evo Morales «non butta il denaro pubblico come avevano fatto i neo-liberisti», e, rivestendo a volte i panni del sociologo che è per formazione, analizza la situazione del paese a quasi un anno dalle vittoriose elezioni del dicembre 2005.
Il governo ora va di nuovo forte nei sondaggi. Come mai tanta volatità nell’opinione pubblica?
Il voto per il Movimiento al Socialismo è di due tipi. Uno più solido, con fedeltà a lungo periodo e tempi politici diversi da quelli dei media. In questo livello – costituito da campesinos e ceti popolari urbani – non c’à volatilità, però mediaticamente è meno visibile. Poi c’è un nucleo di classe media e ceti popolari emergenti – commercianti, artigiani, eccetera – che è politicamente più instabile e più sensibile al clima politico e mediatico. Questo è il settore in cui si fanno i sondaggi di opinione. E qui ci sono state variazioni, verso l’alto e verso il basso.
Ora i sondaggi dicono che l’appoggio è di nuovo salito al 63%…
Sì, è tornato a crescere a partire da 3 o 4 mosse forti del governo che hanno rotto il senso di incertezza e di instabilità degli ultimi due mesi: la firma dei contratti petroliferi, l’appoggio esterno dopo l’accordo di vendita del gas all’Argentina e, sul terreno sociale, il bonus «Juancito Pinto» contro la diserzione scolastica, che è una sorta di socializzazione dei benefici della nazionalizzazione, e ora la riforma agraria.
Le cifre macro-economiche attuali sarebbero l’invidia dei governi degli anni ’90: previsioni di un superavit fiscale, riserve ed esportazioni record. E’ merito del vostro governo o il risultato di un contesto internazionale favorevole?
Il contesto, senza dubbio, ha aiutato. Però è stato decisivo un insieme di decisioni politiche molto precise. Per esempio il modo di affrontare le pressioni sociali. Gli stessi neo-liberisti, in tempi elettorali, buttavano al vento le risorse statali. L’ex presidente Jorge Quiroga è arrivato a un deficit dell’8%, peggio che ai tempi dell’iper-inflazione. C’è stata una sorta di libertinaggio. Noi non abbiamo seguito l’esempio. Abbiamo puntato sull’austerità nel governo e su miglioramenti moderati nel settore pubblico: il 7% ai lavoratori dell’educazione e della sanità e il 3% a polizia e forze armate. Così siamo riusciti a tenere sotto controllo l’inflazione e il deficit fiscale e abbiamo potuto consolidare la fiducia del sistema finanziario nonostante il terrorismo di qualche settore conservatore. Poi c’è la strategia petrolifera: raggiungere e consolidare gli accordi con l’Argentina per aprire la strada ai negoziati con la Petrobras e il resto delle compagnie.
Quindi l’accordo con l’Argentina ha influito sulla firma dei nuovi contratti petroliferi?
Enormemente. Perché ha garantito mercati a prezzi molto buoni e, come ha segnalato il presidente Kirchner, la possibilità di investimenti argentini nel caso le imprese che operano in Bolivia non li volessero più fare. E’ stata una decisione politica. E questo ha permesso di rompere una specie di patto di sindacato delle imprese petrolifere che sembravano decise di non negoziare per obbligare il governo boliviano ad allungare di altri 90 o 180 giorni i negoziati sui contratti. Con questa politica abbiamo fissato un meccanismo diverso d’inserzione nel mondo globale di un paese piccolo come la Bolivia: investimenti stranieri però con regole stabilite da uno Stato forte. Tutto ciò ha contribuito alle cifre macro-economiche di oggi: crescita di più del 4%, inversione della tendenza alla caduta degli investimenti privati esterni, superavit fiscale dell’1-2% l’anno prossimo, record delle esportazioni, che superano i 3100 milioni di dollari.
Crede che ci siano delle cospirazioni contro il vostro governo?
Ci sono stati tentativi seri di cospirazione fra agosto e settembre, come ha detto il presidente. C’era che credeva che si potesse impedire la continuità di questo processo approfittando di un insieme di malesseri, specie a livello urbano. Ci sono stati certi media che hanno scommesso su questo, insieme a certi settori che hanno hanno cercato l’appoggio dei comandi militari. Però la manovra è stata rapidamente denunciata e disinnescata.
Qual il vero Garcia Linera, un politico dialogante o un lupo travestito d’agnello che di tanto in tanto ricorda i tempi in cui andava per l’altipiano con il fucile sotto il poncho?
Bisogna leggere le parole a seconda dei tempi. Le frasi forti sono state nel momento delle cospirazioni. Allora era necessario dare un segnale molto chiaro: chi voleva giocare alla destabilizzazione doveva sapere che ci sarebbe stata dura. Al di là di queste circostanze, Alvaro Garcia è uno che si impegna su due cose: primo, agevolare la riconversione di una mentalità e di certe abitudini alla resistenza dei settori popolari verso attitudini di gestione statale. Secondo, fare dello Stato una sintesi della società e non più uno Stato di fazione. Uno Stato che sia la materializzazione di alleanze sociali. Sono uno che vede la gestione statale in una logica di negoziato.
La riforma agraria appena approvata sta riscaldando ancora una volta gli animi dei settori imprenditoriali di Santa Cruz…
Sul tema delle terre si intrecciano interessi di gruppi imprenditoriali produttivi e legittimi con quelli di settori speculativi influenti nei diparimenti orientali e con ampio peso politico. La nostra strategia è di potenziare l’alleanza con il settore produttivo e isolare politicamente quello politico-speculativo, per quanto a volte gli interessi di entrambi si mescolino. Ovvio che la rivoluzione agraria genererà una serie di conflitti. Stiamo cercando di attenuarli ma non rinunceremo alla lotta contro i latifondi improduttivi.
Nel Mas ci sono critiche sul fatto che al governo c’è più gente di classe media che indigeni…
Il tema dell’indigenizzazione delle stretture dello Stato è qualcosa che sta incontrando difficoltà perché la maggioranza degli indigeni è stata sempre relegata all’ambito della formazione professionale o addirittura a non avere una professione. E’ un problema che si può risolvere solo gradualmente nell’ambito di una rivoluzione amministrativa che permetta di formare quadri indigeni in condizioni di parità con quelli bianchi-meticci. In ogni caso, per quanto ci sia ancora molto da fare, non bisogna disprezzare i quadri indigeni di questo governo. Per di più, i movimenti sociali e indigeni – che sono quelli del Mas – devono dare il loro avallo a che indigeni o non indigeni possano occupare un ministero. Questo è qualcosa di inedito, prima il sostegno lo davano gli organismi internazionali o le ambasciate. A tutti deve essere chiaro, dentro e fuori il Mas, che in Bolivia è in corso una rivoluzione democratica e de-colonizzatrice.