«Non cederemo le armi, unica difesa contro Israele»

Parla Abu Muhammad esponente degli Hezbollah: Washington vuole un mandato su Libano e Siria»
Scontro imminente in Libano di fronte alla richiesta di Usa, Francia e Kofi Annan di disarmare la resistenza

INVIATO A BEIRUT
«La situazione in Libano è assai pericolosa in seguito al tentativo americano di utilizzare la commissione dell’Onu sull’uccisione di Hariri per acquisire una sorta di tutela sul nostro paese e per colpire la Siria con l’obiettivo di imporci l’attuazione della risoluzione 1559 e quindi il disarmo delle organizzazioni della resistenza libanese e palestinese. Ma ciò non avverrà perché il nostro è un movimento di liberazione nazionale necessario per continuare la lotta per la liberazione delle fattorie di Sheba ancora occupate e per difendere la sovranità libanese dalle quotidiane minacce israeliane». Abu Muhammad, esponente della resistenza islamica degli Hezbollah e responsabile dei rapporti con i profughi palestinesi in Libano – che lui conosce bene essendo anche lui un sopravvissuto all’assedio e alla distruzione nel 1976 da parte dei falangisti filo-israeliani del campo propalestinese di Tal al Zaatar a Beirut est – non sembra avere il minimo dubbio che se Usa, Francia e Consiglio di sicurezza continueranno a chiedere il disarmo della resistenza libanese e di quella palestinese in Libano il rischio di un nuovo drammatico scontro potrebbe essere più forte di quel che non si creda. Lo incontriamo nel cuore della periferia sud di Beirut, in maggioranza sciita, un groviglio di palazzoni uniti da una inestricabile rete di fili elettrici dove sorgono molti degli uffici della resistenza islamica libanese. I controlli sono discreti ma assai severi. Alcune vie sono sbarrate da grandi cancelli mobili sorvegliati da guardie armate del movimento in divisa nera e basco rosso e da gruppi di giovani in scooter o moto da cross. Secondo l’esponente libanese in realtà sia la commissione Mehlis dell’Onu, sia l’assedio e la campagna di disinformazione contro la Siria, sia gli incontri all’Onu tenutisi la scorsa settimana al palazzo di vetro con le relative promesse di aiuti economici al Libano in realtà non mirerebbero altro che a dividere di nuovo il paese e costringerlo ad accettare il disarmo della resistenza. Ma perché mai Usa, Francia e alcuni paesi europei vogliono imporre a tutti i costi il disarmo degli Hezbollah e dei movimenti palestinesi? Secondo Abu Muhammad gli obiettivi di questa strategia Usa sarebbero essenzialmente tre: «1) Lasciare campo libero ad Israele la cui azione è ora molto limitata nell’area del confine a causa della presenza della resistenza 2) disarmare le organizzazioni palestinesi e privare i rifugiati di qualsiasi difesa e autonomia politica 3) distruggere l’esperienza degli Hezbollah che hanno dimostrato come l’esercito israeliano non sia affatto invincibile».

La resistenza islamica libanese ha sempre avuto al centro della sua strategia la questione palestinese sia per ragioni ideologiche ma anche perché le popolazioni sciite del Jabel Amel, sulle colline alle spalle di Tiro, da sempre in comunicazione con la vicina Palestina fino al 1920, al mandato francese, sono state dal `48 in poi sotto il fuoco e al centro delle rappresaglie dell’aggressivo vicino che ha occupato dal `78 al 2000 una vasta fascia nel sud del Libano saccheggiandone le terre e soprattutto le acque. Le pressioni politiche di Francia, Usa e Israele sul governo libanese tenderebbero in particolare a colpire il ruolo «nazionale» assunto con la liberazione del sud dal movimento degli Hezbollah. Un ruolo «nazionale» che si è andato rafforzando ulteriormente con l’entrata del movimento nel nuovo governo libanese dove gli è stato affidato il ministero dell’energia. «Questo ruolo non è affatto gradito ad Israele – continua l’esponente della resistenza libanese – dal momento che il nuovo ministro dell’energia affidato agli Hezbollah si occupa anche delle acque e quindi anche di quei fiumi nel sud da sempre al centro delle mire israeliane. Basti pensare come Israele, sin dagli albori dell’ entità sionista, abbia sempre cercato di impedirci lo sfruttamento delle nostre acque». «Israele si è ritirata dal Libano – ci dice abu Muhammad dopo aver bevuto un dolcissimo te – ma non possiamo escludere nuove aggressioni. Il Libano è un paese vulnerabile e di fronte a questa asimmetria l’unica carta che abbiamo è quella della resistenza capace di far pagare un caro prezzo agli attaccanti. Ed è questa carta che la risoluzione 1559 si illude di poterci togliere». Poi dopo essersi fermato a pensare l’esponente degli Hezbollah aggiunge: «l’unica possibilità sarebbe quella di un riconoscimento dei diritti nostri e dei palestinesi ma non mi sembra che questo stia avvenendo. La risoluzione 1559 e la 1614 (sul dispiegamento dell’esercito libanese al posto della resistenza lungo il confine con Israele) non considerano affatto le necessità di «sicurezza» dei libanesi e dei palestinesi ma solo quelle di Israele. E questo è molto grave perché così facendo la comunità internazionale ha adottato il punto di vista israeliano secondo il quale sarebbero i libanesi e i palestinesi ad attaccare Israele mentre in realtà da decenni avviene esattamente il contrario: «Siamo noi e i palestinesi che dobbiamo difenderci dagli attacchi israeliani e quindi ad aver bisogno delle nostre armi».