Globalisti o scettici, ma non moralisti: la provocazione di Luigi Cavallaro circa la probabile collocazione di Marx fuori dal movimento antiglobalizzazione sembra avere colto nel segno. Per la verità, la domanda “cosa Marx penserebbe oggi” ha sempre movimentato il dibattito politico, sin da quando Kautsky e Lenin si contesero l’eredità del pensiero marxiano, e il primo contestò al secondo di aver realizzato una dittatura “sul” proletariato piuttosto che una dittatura “del” proletariato. Forse diceva bene Raymond Aron, che negli anni ’60 si interrogava sulla utilità di una tale domanda, per l’ovvio motivo che la morte di Marx rende impossibile chiarire le numerose ambiguità del suo pensiero e le possibilità di interpretarlo in più modi.
Tuttavia, adoperando i suoi strumenti e le sue coordinate di lavoro, ovvero un metodo rigorosamente scientifico ancorato alla realtà storica e alle dinamiche in essa operanti, non appare un azzardo pensare che Marx guarderebbe con simpatia, ma anche con scetticismo, ai no-global. Sarebbe forse molto più allarmato sia da quei dirigenti della sinistra che hanno deciso di disimpegnarsi dal cercare di capire le ragioni della protesta, ad esempio anticipando che “a Napoli non ci saremo”, sia da quelli che ci andranno solo per cavalcare la protesta senza darle strumenti politici maturi e concreti.
Per la verità, già Marx, nel descrivere le caratteristiche del capitale, rilevava come la sua fluidità contribuisse ad abbreviare le distanze fisiche tra i suoi utilizzatori e a disumanizzarli ed alienarli almeno quanto gli operai, e ad individuare come risposta alle condizioni imposte dal mercato – che già allora rivelava i sintomi dell’espansionismo di oggi (attraverso l’abbattimento dei dazi) – l’unità del movimento operaio a livello mondiale, ovvero l’internazionalismo, che altro non è se non la globalizzazione sindacale e politica dei lavoratori. Per questo difficilmente, nell’attuale contesto storico ed in questa fase di espansione capitalistica planetaria, Marx aderirebbe ad un movimento che si definisce “No Global”.
In un recente saggio (Globalismo e antiglobalismo) David Held ed Anthony McGrew offrono un vasto panorama di concetti e definizioni dei termini della questione e delle divisioni ideali tra globalisti ed antiglobalisti, ma questi ultimi, definiti anche “scettici”, non sono i “contrari alla globalizzazione” tout court, ma quelli che le preferiscono il termine di internazionalizzazione e ritengono tutt’ora preminente e valido il concetto di stato-nazione rispetto a quello di stato inserito e interconnesso a tutti gli altri sotto il profilo socio-economico, riconoscendo allo stato-singolo poteri ancora rilevanti sotto il profilo politico-economico ed in grado di incidere autonomamente nelle dinamiche globali.
Tranne alcuni tra i più convinti “scettici” di estrazione marxiana (ad esempio A. Callinicos in “Marxism ed the New Imperialism”, il quale ritiene che la risposta più adeguata alle contraddizioni della globalizzazione economica e agli squilibri e diseguaglianze ad essa ascrivibili sia la costruzione di un nuovo ordine internazionale socialista), la più parte di essi ritiene che le risposte ai guasti della globalizzazione debbano essere apprestate dai singoli stati nazionali attraverso risposte politiche interne, e non da strumenti di governance sovranazionale. Tuttavia nessuno, né tra i “globalisti”, né tra gli “antiglobalisti”, può essere considerato semplicisticamente “contrario” alla globalizzazione intesa come interconnessione socio-economica tra stati e macroregioni a livello globale, e ciò perché è irrealistico immaginare, ad esempio, un ritorno alle barriere spazio-temporali ed economiche del passato. Lungi dall’avvitarsi su cosa penserebbe Marx della globalizzazione e sulle proteste di questi anni, ragionare in termini marxiani a mio avviso implica interrogarsi su come orientare la globalizzazione piuttosto che schierarsi a favore o contro, in quanto essere “contro” è semplicemente antistorico, ed è paragonabile alle proteste dei luddisti che in Inghilterra, per protestare contro le macchine che sottraevano lavoro all’uomo creando disoccupazione, le distruggevano.
Il vero punto focale che resterà al centro del dibattito per i prossimi anni è invece la direzione che assumerà l’interconnessione globale, ovvero se regolata dalla forza bruta del mercato attraverso organismi internazionali come il Fmi, il Wto o la Banca Mondiale, egemonizzati dagli Stati Uniti secondo un determinismo anarcoide uguale e contrario a quello dei piani quinquennali nel socialismo reale, o se orientata secondo i caratteri del liberalsocialismo, al fine di estendere non solo i mercati, ma anche e soprattutto i diritti e le garanzie per i ceti deboli e i lavoratori (soprattutto quelli che nel terzo mondo lavorano per le multinazionali dei paesi industrializzati dopo l’outsourcing adottato negli ultimi 30 anni per usufruire dei minori costi del lavoro), ponendo al centro del dibattito politico-economico lo sviluppo ecosostenibile, la salvaguardia dell’ambiente, il rafforzamento delle tutele sociali, la messa al bando delle armi nucleari e convenzionali per orientare le risorse verso altri settori di ricerca.
E’ facile prevedere – e sono di questi giorni da parte americana la nuova corsa allo scudo spaziale e la negazione dell’effetto-serra – che nel primo caso cresceranno proporzionalmente i guasti ambientali, lo squilibrio, la povertà, la diseguaglianza sociale non solo tra paesi ricchi e paesi poveri, ma anche nell’ambito dello stesso paese tra regioni più inserite nel sistema produttivo e regioni emarginate dallo sviluppo, con conseguenti spinte centrifughe e localistiche, come sta avvenendo in Italia con il federalismo e la cosiddetta devolution, che rischia di creare cittadinanze diverse nello stesso stato.
Nel secondo caso, alcuni (come David Held, in Democracy and the global order: from the Modern State to Cosmopolitan Governance, 1995) sostengono che la socialdemocrazia dovrà essere ridefinita in termini nuovi ed estendersi oltre i confini nazionali ed avere come obiettivo “la ricerca di programmi di regolamentazione delle forze della globalizzazione economica coordinati a livello nazionale, regionale e globale, affinchè il mercato globale cominci ad essere al servizio della popolazione mondiale piuttosto che viceversa”. Posizioni diverse, che partano dalle idee trascurando o ignorando la realtà, oltre che essere antistoriche ed “ideologiche” nel senso marxiano del termine, costituiscono un atteggiamento moralistico, e come sostiene Marx ne “La sacra famiglia” in polemica con gli hegeliani di sinistra, “la morale che si giustifica in rapporto ad un valore ideale è l’impotenza messa in atto”.
* Magistratura democratica, Bari