Nell’anniversario dell’uragano Katrina, a New Orleans sono entrati in funzione i bulldozer: «Raderanno al suolo tutte le case non ancora ricostruite, quelle di proprietari che non tornati: così esproprieranno la terra che sarà a disposizione della speculazione edilizia», ci spiega Kelly Dougherty, soldatessa inviata in Iraq dal febbraio 2003 al 2004 e ora presidente dell’organizzazione «Iraq veterans against the war». Dougherty è appena tornata da un periodo di volontaria tra i sopravvissuti di Katrina, e della città della Louisiana conserva un’immagine spettrale e violenta. «La povera gente ancora oggi in molte parti della città vive senza elettricità e senza acqua potabile. Dei novantamila e più fuggiti dalle loro case, solo il 16 per cento e tornato a casa». Chi ha deciso di radere al suolo le case non ricostruite? «Forse la direttiva è locale, ma la decisione di certo proviene da Washington. La motivazione addotta è che i proprietari originari delle case che non sono potuti ancora tornare a New Orleans e sono ancora rifugiati in altri stati perdono ogni diritto di residenza a New Orleans. Di conseguenza non risultano più nel catasto come legittimi proprietari della propria casa».
Cosa l’ha spinta, dopo l’esperienza in Iraq, ad andare dai sopravvissuti di Katrina?
A marzo di quest’anno, in occasione del terzo anniversario dell’invasione e occupazione americana in Iraq, organizzammo una carovana di protesta di reduci e famiglie di soldati in Iraq, con una marcia da Mobile in Alabama sino a New Orleans come segno simbolico di solidarietà. Rimanemmo scioccati. Non ci aspettavamo una situazione così tragica 7 mesi dopo l’uragano. Ci siamo resi conto che a New Orleans non è stato fatto nulla per la ricostruzione. I media ci avevano fatto vedere solo minima parte della devastazione umana. Lungo chilometri di costa del Golfo abbiamo visto solo cumuli di mondezza putrida mai raccolta; gli abitanti siedono sui bordi delle strade in mezzo a liquami e acqua contaminata dagli agenti tossici fuoriusciti dalle fabbriche e raffinerie distrutte. Abbiamo constatato l’indifferenza e lo stesso cinismo per la sorte di civili innocenti che abbiamo visto in Iraq. Per questo abbiamo deciso di tornare a New Orleans nell’estate, e dare il nostro aiuto di soldati con l’esperienza dell’Iraq. Durante il nostro soggiorno non abbiamo visto nemmeno un funzionario della Croce Rossa: solo la solidarietà di comunità religiose e civili volontari.
Perché lei paragona la sua esperienza in Iraq con quanto ha constatato a New Orleans?
In Iraq come nelle comunità devastate di New Orleans ho visto persone senza acqua potabile né elettricità che chiedevano aiuto, e non bulldozers. In Iraq, dove la mia unità effettuava controllo di polizia, mi resi conto molto presto che il nostro ruolo non aveva nulla a che vedere con la ricostruzione. Avevamo l’ordine di distruggere e incendiare noi stessi case di gente poverissima: dovevamo terrorizzare e far morire tanti civili innocenti con le nostre incursioni immotivate, coperte da tante menzogne. A New Orleans ho visto situazioni diverse, ma forse peggiori. Una tragedia umana si svolgeva nell’indifferenza più totale, per opera dei nostri governanti, e a casa nostra. Metà della popolazione di New Orleans è dispersa negli altri stati, che hanno dato loro asilo. Il tasso di suicidio è triplicato. Gran parte di ospedali e scuole per i più poveri restano chiusi. I liquami tossici fra cui si aggirano gli abitanti non sono mai stati analizzati per capire la natura della contaminazione. L’amministrazione Bush ha promesso finanziamenti mai arrivati, e 18miliardi di dollari sono spariti senza troppo scandalo. Pensate: con solo 3 miliardi di dollari gli argini potevano essere già ricostruiti. In Iraq, soltanto nel primo anno della nostra invasione sono scomparsi 8 miliardi di dollari destinati alla ricostruzione: nelle tasche di politici e contractors corrotti, ma amici di Bush. L’esperienza a New Orleans mi conferma nella mia tesi: Bush e i suoi corrotti politici prestano attenzione solo quando vedono un tornaconto economico.