Basta cercare su Intemet alla voce “Teresa Noce” per incontrare oltre duemila notizie che vanno dalla presentazione di uno dei suoi libri, alla intitolazione di vie e piazze, da tesi di laurea a resoconti parlamentari, a contratti sindacali a pubblicazioni comuniste, femministe, sindacali, eppure di questa donna straordinaria, morta ottantenne nel 1980, pochi oggi conoscono la vita, le opere, l’esistenza stessa. Meritevole è quindi 1’iniziativa della Editrice Aurora di ristampare, a 26 anni di distanza, 1’autobiografia di Teresa Noce (Rivoluzionaria professionale pp. 431, euro 15, 00, Editrice Aurora, via Spallanzani, 6 cap 20129 Milano), alla quale potrebbero far seguito le altre opere della Noce, da Gioventù senza sole, storie di donne recluse nel campo nazista di Ranvesbruk, a Layka, cagnetta spaziale romanzo di fantascienza per bambini, libri tuttora ricchi di stimoli e sollecitazioni. Rivoluzionaria professionale è un racconto pieno di sorprese a partire dal titolo che evoca, anche all’interno della sinistra, l’immagine di funzionaria-burocrate e grigia, “usa a obbedir tacendo”, diffusa, con immeritato successo, dalla vulgata della cosiddetta seconda repubblica: Teresa obbedisce, ma non tace mai, contestando ai giovani comunisti degli anni ‘201’eccessivo moralismo, definendo compagne anche prestigiose “cattedrali”, contrastando le regole interne della scuola di partito moscovita, tracciando ritratti anche affettuosi ma certo molto disinvolti dei massimi dirigenti italiani e internazionali in nome della giustizia, della coscienza di classe, di un radicato “femminismo ante litteram”. «I compagni comunisti avrebbero dovuto ricordare l’insegnamento di Lenin: anche una cuoca deve imparare a dirigere lo Stato», scrive, «ma come avrebbe potuto una casalinga imparare a dîrigere lo Stato se la si teneva appartata, se non partecipava alla lotta e alla vita politica? Ripetei quello che diceva Gramsci sulla divisione capitalistica del lavoro anche in
seno alle famiglie di compagni: agli uomini il lavoro politico, alle donne quello di casa». Una convinzione che Teresa mantiene nel lavoro politico e in casa, nel suo rapporto con Luigi Longo, unico grande amore della sua vita oltre che dirigente di primo piano del Pci, due titoli che Teresa gli riconosce senza che le passi per la mente, nemmeno per un momento, di adeguarsi al ruolo di moglie e madre a tempo pieno, confinata “alla cucina e alla camera dei bambini”.
La sua è uri infanzia di miseria, nei quartieri più degradati della Torino primo Novecento, dove «anche l’asilo nido sembrava una casa di malaffare», nei quali si trascina sua madre, abbandonata dal marito con due figli piccoli, con l’unica risorsa di servizi a ore per sfamare la famiglia, inseguita da sfratti e debiti. Una donna che vive per difendere i figli dalla fame e dalle trasgressioni che ne metterebbero in pericolo la sopravvivenza, dallo sciopero al rifiuto della messa domenicale alla lettura di libri e giornali, anche i più innocenti, lusso riservato a quei “ricchi” che insieme alla chiesa e alla monarchia costituiscono un potere al quale chi nasce povero deve sottomettersi.
Teresa condivide le scelte del fratello, socialista morto giovanissimo nella prima guerra mondiale, lo segue alla Camera del lavoro e alla sezione socialista decisa a diventare un’operaia cosciente; ci riesce e resta tale per tutta la vita anche quando, eletta parlamentare, sceglierà di dirigere il sindacato tessili della Cgil a contatto quotidiano con giovani lavoratrici da sostenere, guidare, far crescere con la consapevolezza di chi conosce il lavoro e lo sfruttamento.
Diventata Estella, nome di battaglia nella clandestinità, la giovane operaia deve imparare cose più difficili del funzionamento del tornio e del telaio: come parlare in pubblico e dirigere un giornale – «La voce della gioventù» organo dei giovani comunisti. Estella però ha scoperto fin dalla scuola elementare, che ha dovuto abbandonare con dolore, una finestra sul mondo che è anche uno strumento prezioso: la lettura, che riuscirà a praticare per tutta la vita anche nelle peggiori condizioni di miseria e dì segregazione. Inoltre è convinta che «un giornale per i giovani lavoratori deve essere fatto soprattutto da giovani, giornalisti o meno» e sostiene la sua tesi litigando con Leonetti, sperimentato redattore di “Ordine nuovo”, «persuaso che solo i giornalisti sapessero fare un giornale» e che vorrebbe almeno «correggere» l’articolo di fondo: otterrà solo di rileggerlo e fare le sue osservazioni delle quali io avrei cercato di tenere conto».
Ogni pagina della storia d movimento operaio del ‘900 – dal biennio rosso» torinese alla fondazione del Pci, dal carcere alla guerra di Spagna e alle missioni clandestine nell’Italia fascista, dall’esilio alla resistenza nel “maquis” francese, al campo di sterminio nazista, al primo Parlamento italiano -è vissuta da protagonista da questa donna, madre di due figli, lavoratrice e casalinga che riesce a far convivere un “pubblico” e un “privato” ugualmente pesanti e difficili con incredibile naturalezza, non mancando a nessun dovere e non rinunciando a nessun diritto.
Una vita costellata di dolori la sua – la morte del fratello, di un figlio piccolissimo, la rottura con Longo – di difficoltà, di separazioni laceranti – dal suo compagno, dai figli lasciati a Mosca quando deve rientrare a Parigi al centro estero del partito – descritta con uno stile semplice e incisivo, non privo di una sua eleganza e assolutamente lontano dai toni deamicisiani in auge nella letteratura popolare della sua giovinezza. Un racconto che percorre quel lungo travagliato tratto di storia del movimento operaio ma non sorvola sulle esperienze, sui sentimenti, sui sogni e sulle fantasie di una donna che non è e non vuole essere una dirigente di ferro senza debolezze né cedimenti ma si racconta, dalla prima all’ultima pagina, a tutto tondo: una donna che è anche un’operaia rivoluzionaria, appunto, professionale.