Noi, più abili dei Vietcong così combattiamo in Iraq

Parla Majeed al Qaood, segretario di Wahaj, uno dei gruppi politici dei ribelli – ‘Non c’ è mai libertà senza spargimento di sangue, ma non siamo noi a colpire i civili’ – ‘Usiamo tattiche di guerriglia che in futuro saranno studiate e facciamo tutto da soli’

Sheikh Majeed al Qaood è sulla lista nera degli americani. Trentott’ anni, rampollo di una ricca famiglia di Ramadi, una laurea in economia, è il segretario generale di Wahaj al Iraq. «La “Fiamma” che incenerirà gli invasori», uno dei bracci politici della guerriglia irachena. Qaood accetta di parlare a condizione che non si riveli il luogo in cui avviene la nostra chiacchierata. Per rispettare i patti diremo solo che è la capitale di uno Stato del Medio Oriente.

Gli americani la considerano un terrorista, lei come si definisce? «Un patriota che si batte contro l’ occupazione del proprio paese. La storia purtroppo insegna che non c’ è quasi mai libertà senza spargimento di sangue».

Anche se è il sangue di innocenti civili? «Noi colpiamo solo obiettivi militari, chi massacra donne, vecchi e bambini sono altri».

Gente come al Zarqawi? «Guardi, io sono di Ramadi, la mia famiglia è di Ramadi, ma questo al Zarqawi né io né i miei lo abbiamo mai visto. Non vi viene il sospetto che sia un’ invenzione di comodo? La personalizzazione del Male, una di quelle cose che piacciono tanto agli americani?».

Se Zarqawi è una leggenda e voi attaccate solo quelli in divisa, chi è che mette le bombe, chi fa saltare in aria la povera gente? «Sarebbe più giusto chiedere chi ha interesse a farlo. In Iraq ci sono tre tipi di occupazione. Di quella americana si sa tutto. Delle altre due invece poco si parla. Eppure ci sono quasi due milioni di iraniani infiltratisi dal sud e migliaia di israeliani, penetrati attraverso il nord. Hanno obiettivi diversi ma puntano tutti alla stessa cosa: delegittimarci. Le stragi di civili fanno il loro gioco, non il nostro».

Il “nostro” di chi? «Degli iracheni. Dei resistenti, anche se questa parola sembra indignare voi occidentali. Degli intellettuali, dei funzionari, degli ufficiali dell’ ex Iraq che non si sono venduti al nemico. Stiamo facendo scuola. I libri di storia parleranno di “modello iracheno”: tattiche e strategie militari mai applicate in passato. Non solo kamikaze, attacchi mordi e fuggi e trappole esplosive sempre più sofisticate. Meglio che in Vietnam. E noi contrariamente ai Vietcong stiamo facendo tutto da soli. E stiamo vincendo. Nell’ ultima grande battaglia, combattuta ai confini con la Siria, ad al Qaem, i marines non hanno esitato ad usare armi sporche, uccidendo civili, distruggendo case, ma hanno subìto perdite ingentissime. E sui cieli di al Al Anbar grazie alla nostra artigianale contraerea gli americani non si azzardano più a volare. Il tempo sta giocando a nostro favore. Loro sono sempre più demotivati, noi sempre più forti. L’ Iraq non sarà mai quello che hanno disegnato a tavolino».

Lei parla di iracheni, ma è forte il sospetto che la guerriglia sia quasi esclusivamente espressione di una sola etnia. «Certo noi sunniti siamo il nocciolo duro, ma ci sono anche sciiti e turcomanni. E’ una resistenza di popolo alla quale il paese si è preparato fin dalla prima guerra del Golfo. Sapevamo che ci avrebbero invaso e ci siamo attrezzati. Saddam aveva previsto tutto. Fingere di perdere la guerra per poi tendere una trappola al nemico dall’ interno. Vi ricordate la sua frase, “Li inceneriremo tra le mura di Bagdad”?, non era una boutade. C’ erano 25 mila tonnellate di esplosivo piazzate intorno alla capitale. L’ immenso rogo non ci fu perché qualcuno tradì. E allora fummo costretti a ripiegare sul piano B, quello che stiamo attuando».

Eppure si è votato, c’è un Parlamento, un governo, un nuovo presidente. «Quelle sono le istituzioni degli aggressori, non degli iracheni. Talabani, il nuovo raìs, non può consentirsi nemmeno una passeggiata per una strada della capitale senza che qualcuno lo accoppi. Lo stesso dicasi per Jaafari. Non rappresentano nessuno. Il nostro presidente resta Saddam fino a quando noi, e non Bush, non avremo deciso il contrario».

Messa così, sembra non ci sia alcuna speranza di pace. «Noi abbiamo una proposta politica che prevede tre cose: il ritiro delle forze di occupazione sotto l’ egida di Onu, Lega araba e Unione europea. La ricostruzione su basi nuove dell’ esercito iracheno e libere elezioni garantite da osservatori internazionali. Se ci fosse disponibilità su questi tre punti, noi saremmo disposti a stringere la mano agli americani anche domani».