«Noi e i governi? Meglio separati»

Oded Grajew, industriale brasiliano di San Paolo, sulla cinquantina, distinto signore con barba e capelli bianchi, una serenità vagamente zen. Forse non tutti sanno che è lui l’inventore del Forum sociale mondiale.

Oggi nel Forum c’è uno scontro tra due posizioni, una che vuole valersi dell’appoggio dei governi amici e l’altra che considera necessaria l’assoluta indipendenza. Lei da che parte sta?

Io considero che la diversità di opinioni è una ricchezza. Qualunque tentativo per cambiare l’attuale globalizzazione, per modificare la società, ha bisogno della collaborazione dei governi. Penso che la maggioranza dei partecipanti al Forum crede nella democrazia partecipativa: mantenere l’indipendenza della società civile, non esclude la partecipazione e l’appoggio da parte di alcuni governi. C’è però anche chi teme un controllo istituzionale. E’ un dibattito assai sentito in America latina, dove ci sono molti nuovi governi di sinistra. C’è anche chi preme perché il Forum si trasformi in una organizzazione verticale che indichi delle linee guida. Altri, come me, credono invece nel rispetto della carta dei principi che valorizza la diversità, la democrazia e i metodi pacifici come mezzo di azione politica. Il Forum deve mantenersi uno spazio aperto, che promuove la diversità e rifiuta di stabilire priorità. Nulla impedisce che ci si unifichi intorno ad alcuni obiettivi, senza però imporli dall’alto, come si faceva nella vecchia cultura politica. Il Forum sociale, come dicevo, è un processo.

Come è nato il Fsm?

Tutto cominciò nel 2000. Io facevo l’industriale e conoscevo il presidente del Forum economico mondiale di Davos. Con lui tentavo di introdurre il tema della questione etica e della responsabilità sociale. Mi trovavo a Parigi proprio mentre si teneva il forum di Davos e i media parlavano della «fine della storia» e sostenevano l’esempio dell’Argentina di Menem come modello da imitare. Fu allora che pensai a creare un contrappeso a Davos, con un Forum mondiale che, in contemporanea, rappresentasse un’alternativa. Contattai Chico Whitaker, brasiliano esule in Francia, e Bernard Cassen di Le Monde Diplomatique e di Attac. Fu lui a proporre Porto Alegre, per via dell’esperienza del bilancio partecipativo. Tornato in Brasile, telefonai al sindaco di Porto Alegre e al governatore di Rio Grande do Sul, mettendo in chiaro che il Forum non doveva essere un evento istituzionale ma della società civile. La Fondazione Ford, che non ha niente a che vedere con l’industria automobilistica, fu tra le prime a finanziare l’iniziativa e così nel gennaio del 2001 si tenne la prima edizione.

Come definirebbe il concetto di responsabilità sociale?

La responsabilità sociale non sono parole, è qualcosa che riguarda tutti, una maniera di vivere. Io ho cominciato con una piccola industria produttrice di giocattoli che poi si ingrandì molto e mi sono sempre preoccupato della società e della politica. Quando diventai presidente della federazione latinoamericana del giocattolo e creai una fondazione, Abrinq, per la difesa dei diritti dei bambini, mi avvicinai al Pt brasiliano e appoggiai Lula fin dalla sua prima candidatura presidenziale nell’89, una scelta allora totalmente inusitata per un industriale. Nel 1998, ho fondato Ethos, una grande organizzazione che riunisce più di 1100 industrie – piccole, grandi e perfino multinazionali – che rappresentano il 34% del Pil brasiliano. Per appartenervi bisogna rispettare una carta di principi e impegnarsi a non utilizzare il marchio di Ethos a fini pubblicitari.

Lei aderisce in concreto a qualche ideologia?

Mi considero di sinistra, nel senso che i miei principi politici sono la giustizia e i valori umani. Nel Forum di Davos i valori umani e sociali sono subordinati ai principi economici. Questo mi ha creato difficoltà nelle organizzazioni degli industriali, ma oggi c’è una minoranza crescente con questa stessa visione e le cose stanno cambiando.

La sua amicizia con Lula è di vecchia data, però attualmente sembra aver preso le distanze dal suo governo…

Quando Lula fu eletto, mi chiamò a collaborare come consigliere e ponte con il settore privato. Per un anno ho collaborato nel progetto Fame Zero e in molte iniziative industriali e sociali del governo. Dopo un anno sono tornato a San Paolo, dove ho la mia famiglia e l’attività, dicendo al presidente che potevo continuare a lavorare in questi programmi senza bisogno di stare a Brasilia. In quell’anno ho lavorato fianco a fianco con Frei Betto, che mi diceva sempre: «Io mi occupo dei poveri, tu pensa ai ricchi».

Non crede che l’esperienza del governo Lula abbia deluso molte aspettative?

Nel periodo in cui ho collaborato, pensavo che si sarebbe potuto fare molto di più nell’area sociale ed ottenere risultati maggiori in campo economico, però Lula mi diceva che nel primo anno di governo doveva essere più conservatore degli altri, visto che l’inflazione era del 40% all’anno, il rischio-paese a 4000 punti e il dollaro a 4 reais. La situazione era pericolosa e c’era il rischio di finire come De La Rua in Argentina. Il punto è che dopo quel primo anno il cambiamento non c’è stato, e io non ero d’accordo con questo. Nell’ultimo periodo poi sono rimasto molto deluso dalla questione morale, non tanto per Lula, di cui non ho nessun motivo di dubitare, quanto per certi processi interni al Partido dos Trabalhadores (Pt) e per i dirigenti coinvolti in faccende torbide, convinti che il fine giustifica i mezzi. Per me sono i mezzi che fanno il fine. Alle prossime elezioni voterò ancora per Lula, perché paragonando il suo governo con quelli del passato e con gli altri candidati, gli indicatori economici e sociali sono tutti a suo favore. Credo però che si debba fare molto di più. In un secondo mandato si possono correggere gli errori, ora ci sono le condizioni per fare meglio perché Lula ha più esperienza e la situazione economica oggi è più sicura.

Che evoluzione ha visto nel Fsm dal 2001 a oggi?

Nel 2001 il Forum era una novità assoluta, non sapevamo se avrebbe avuto successo, se sarebbe continuato. Il risultato è stato sorprendente e si è globalizzato il processo. A partire dal 2001 ci sono stati decine di Forum in tutto il mondo, locali, tematici, regionali, continentali, il processo si è esteso mondialmente. L’idea del Forum è quella di cambiare i paradigmi politici, la cultura politica, e questo non si fa da un giorno all’altro. Dal 2001 ad oggi, è molto cambiata l’idea che il mondo aveva del neo-liberismo, che era una specie di pensiero unico. Chi sosteneva il contrario era considerato un pazzo, un retrogrado, mentre oggi pochi si azzardano a dire che questo è l’unico modello possibile. Si cominciano a intravedere alternative. Il panorama mondiale è mutato, soprattutto in America latina dove non c’erano Lula, Tabaré, Chavez, Morales, e gli stessi governi di destra nel mondo hanno cambiato il loro discorso. La guerra in Iraq raccoglieva l’unanimità fra i governi europei, però da allora le cose sono cambiate molto e la società civile e le organizzazioni hanno contribuito poderosamente in questo cambio.