No war contro il Kosovo, 13 condanne a sette anni

Sette anni di reclusione. Perché colpevoli di resistenza pluriaggravata a pubblico ufficiale. Il Tribunale di Firenze fa capire cosa sia il braccio violento della legge a tredici dei quattordici imputati del processo per gli «scontri» del 13 maggio 1999 sotto il consolato Usa. Erano i giorni dei bombardamenti Nato sulla Jugoslavia. Era il giorno dello sciopero generale del sindacalismo di base contro la «guerra umanitaria». Quando il corteo di circa tremila persone arrivò sotto il consolato il Lungarno Vespucci, bastò il lancio di qualche oggetto di fronte alle forze dell’ordine in assetto antisommossa per far partire una violentissima carica dell’ottavo reparto celere. In cinque finirono all’ospedale, compresa l’allora consigliera regionale Orietta Lunghi, eletta con Rifondazione. Decine e decine di altri manifestanti preferirono curarsi a casa. Una denuncia di Lunghi contro la polizia per le cariche compiute finì nel nulla. Un video che documentava la dinamica degli «scontri», trasmesso anche da Striscia la Notizia e mille altre volte nei centri sociali toscani e negli altri luoghi di aggregazione non sembra essere servito a molto. Non almeno a convincere i giudici di primo grado a capire le ragioni degli imputati. Condannati che continuano a ribattere: «Sette anni per aver preso un sacco di legnate, mentre eravamo a mani nude». Da quel 13 maggio 1999 a Firenze nessuna manifestazione è stata caricata dalle forze dell’ordine.
«E’ una sentenza politica – osserva il condannato Bruno Paladini, del Movimento antagonista toscano – dice che i movimenti non hanno più diritto di esistere. Una condanna di sette anni per resistenza a pubblico ufficiale non si è mai vista nella storia della magistratura». Nella sua requisitoria, il pm Pietro Suchan aveva perfino parlato di devastazione e saccheggio. Poi si era «limitato» a chiedere condanne dai quattro a cinque anni di reclusione. Il tribunale è andato oltre le sue aspettative. «La giustizia è come la tela del ragno – commenta amareggiato uno dei legali della difesa, l’avvocato Danilo Ammannato – cattura i moscerini ed è sfondata dai mosconi». Ammannato è uno storico avvocato di parte civile per le istituzioni locali, nei processi per gli attentati e le stragi che hanno insanguinato la Toscana. Anche per quella non solo mafiosa di via dei Georgofili. Con lui nel collegio di difesa l’avvocato Sauro Poli, che fino all’ultimo ha cercato di spiegare ai giudici la dinamica dei fatti. Tutto inutile. Almeno in questo primo grado di giudizio.
L’unico imputato assolto, su richiesta del pm, è il sindacalista dei Cobas toscani Massimo Cervelli. Fra i condannati ci sono alcuni esponenti del Cpa Firenze sud e altri del Csa ex Emerson, i due storici centri sociali fiorentini. Tutti insieme i condannati, dopo la lettura della sentenza – che era attesa anche da un presidio sotto la Prefettura – hanno commentato così quanto accaduto. Dalla sede del Movimento di lotta per la casa, prima realtà che ha subito preso posizione in loro difesa: «La sentenza ha il chiaro senso di una punizione collettiva. Punizione simbolica e collettiva contro un movimento che ha continuato a lottare contro la guerra e le precarietà, per il diritto all’abitare e per tutti i diritti sociali. Un movimento che non si è fatto condizionare da governi amici, ed ha saputo rappresentare in città una chiarezza ce ha, nel bene e nel male, pesato». Ancora Paladini preannuncia che sabato prossimo a Cosenza, all’assemblea dei movimenti, sarà presa una decisione su una possibile manifestazione nazionale «a breve» a Firenze. Da Cobas e Mat un altro giudizio tranchant: «Questi giudici ci fanno tornare in mente i colonnelli greci». Mentre Rifondazione parla con Alfio Nicotra: «Un’enormità e un’ingiustizia. Quel giorno a Firenze ci furono della cariche spropositate. I manifestanti furono vittime e non protagonisti della violenza. Per via giudiziaria si vuole criminalizzare il movimento per la pace e contro il neoliberismo».