No Dal Molin in campo per «Vicenza libera»

E’ stato un dibattito lungo, a tratti difficile, decisamente molto partecipato. Riunioni accanto al fuoco, anche fino a tarda notte; Al presidio permanente no Dal Molin da due mesi si discute delle prossime elezioni comunali. «Un evento – dice Marco -che attraversa la città, che riguarda la città, con il quale piaccia o non piaccia bisognava rapportarsi, misurarsi». E scegliere. Decidere se stare dentro o stare fuori. Se ignorare l’evento (ma l’ipotesi è stata scartata fin da subito) o se invece ragionare (e questa è stata alla fine l’idea prevalente) su come affrontarlo. Dicendo la propria, ascoltando e facendosi ascoltare, mantenendo indipendenza e autonomia. Alla fine una decisione è stata presa: il presidio no Dal Molin parteciperà alle elezioni comunali con una propria lista, un proprio simbolo, un proprio candidato sindaco. La lista si chiamerà «Vicenza libera» e più eloquente di così non poteva essere. Il dibattito però non è concluso. Anzi, è soltanto all’inizio. E dal presidio viene rilanciato al movimento in tutta Italia. Perché il nodo da sciogliere rimane quello di come stare nelle istituzioni pur rifiutando il principio della delega. Non un percorso facile, ma certamente un percorso che si vuole condiviso. Se ci saranno consiglieri eletti non saranno portavoce e nemmeno «delegati», saranno piuttosto uno strumento in più per la comunità. In altre parole i candidati del presidio non chiederanno una delega ai cittadini, ma si metteranno a disposizione dei cittadini, non tanto e non solo per portare in consiglio comunale le eventuali istanze, gli input provenienti dall’esterno. L’obiettivo è quello di continuare a lavorare insieme. Chi sta dentro cercherà di capire come far avanzare le istanze che provengono dall’esterno, di quali strumenti si potrà dotare il fuori.
«E’ chiaro – dice Marco – che il dibattito rischiava e continua a rischiare di essere appiattito su schemi tradizionali, lista sì o lista no, il movimento che entra nelle istituzioni e quindi perde o rinuncia a qualcosa. Inizialmente – continua Marco – anche nelle nostre riunioni si affrontava la questione con lenti antiche. Ma più il tempo passava, più si facevano assemblee, più si è cominciato a capire che bisognava fare un salto in avanti, uscendo dalle vecchie logiche per traslare invece le nostre pratiche anche all’interno delle istituzioni». Assemblea dopo assemblea, intervento dopo intervento, sempre più si è fatta strada la consapevolezza che in gioco non c’era la «verginità» del movimento. Più che altro si trattava di capire se «le elezioni comunali potevano essere usate come opportunità, come occasione. Una sfida certamente -sottolinea Marco – ma vogliamo provare a scardinare e modificare i meccanismi della rappresentanza tradizionale che è in crisi». Provare a rompere, dunque, un meccanismo per portare anche all’interno delle istituzioni le pratiche che hanno attraversato e caratterizzato il movimento no dal Molin, e non solo quello. Il tentativo allora è quello di provare un percorso, sperimentare. Per dimostrare che la delega non è l’unica soluzione possibile. Anzi, l’ambizione è proprio quella di far vedere che la comunità può lavorare nelle e con le istituzioni senza soluzione di continuità, un osmotico scambio. Dove non c’è distinzione tra il «dentro» e il «fuori». Lo ricorda Francesco, «l’esperienza dell’Altro Comune per noi è importante. Non sappiamo ancora bene come renderla pratica in un’arena politica già costituita, ma ci proveremo». Perché lo scopo è quello di «rompere un perimetro, usare il terminale comune come strumento di lotta». E’ chiaro che la strada è tutta in salita. Altri movimenti, in altre parti d’Italia (pensiamo al capofila delle lotte in corso, il popolo no Tav), hanno fatto scelte diverse (…)