Mi ha colpito molto la durezza, al limite del giudizio liquidatorio, della lettera di Gianni Alasia pubblicata da “Liberazione” il 18 luglio. Alasia, dopo aver denunciato un «clima strapaesano di politicismo… che la gente rifiuta e schifa» vuole «fare qualche osservazione sulla personale proposta di Bertinotti di sciogliere Rifondazione». Poi, bontà sua, continua chiosando sul fatto che Bertinotti «dimentica lo stesso percorso da lui fatto, quando era con Occhetto», aggiunge che dice cose non vere come «abbiamo rotto con la tradizione comunista del 900», mette in dubbio che il nostro partito abbia fatto «la scelta della nonviolenza» e quindi accusa Bertinotti di fare «giochi di mano da prestigiatore» (a casa mia si dice più sinteticamente “fa il gioco delle tre carte”).
Se si trattasse di un compagno “arrabbiato” credo che bisognerebbe rispondere punto per punto non tanto sull’interpretazione autentica di quanto ha scritto Bertinotti, ma raccontando i tanti passaggi importanti e difficili che il nostro partito ha compiuto negli ultimi anni, di quanto ci siamo rafforzati proprio grazie alla capacità “rigenerativa” di una linea politica che non si fermava alla contingenza dell’oggi, ma che tentava di fare i conti con l’immensa storia del movimento operaio. Avremmo potuto parlare con questo compagno del fallimento delle strategie “ortodosse” seguite da diversi partiti comunisti, in Europa e nel mondo, e delle vie nuove aperte dalla Linke in Germania o dal Movimento bolivariano di Chavez o dal Mas di Evo Morales. Avremmo parlato dell’attualità stringente della critica nonviolenta del potere, perché oggi la violenza di cui può dotarsi ogni apparato di comando e controllo può invadere financo la sfera più intima della vita, della riproduzione, dal farsi società e del bene comune. Una critica nonviolenta dell’economia che, come ci fa capire anche Agamben nel suo ultimo libro “Il Regno e la gloria”, è sempre più necessaria per impedire che la neutralità dell’economia espropri definitivamente il lavoro dei propri diritti e delle proprie libertà.
Ma a scrivere le cose che prima ho menzionato è stato uno dei nostri più autorevoli compagni, per molti una vera e propria guida politica. Alasia non può non sapere che sta distorcendo la realtà dei fatti per sostenere una tesi politica avversa a quella scritta da Bertinotti (peraltro totalmente in assonanza, per esplicito commento di Giordano, a quanto dalla maggioranza del nostro partito è uscito dall’ultimo comitato politico nazionale). Bertinotti non scrive mai la parola scioglimento e parla di un processo aperto per una “costituente della sinistra”. Ho già avuto modo di dire che, a mio parere, i processi costituenti sono tutt’altro che l’attesa di un’ora x in cui si sciolgano le organizzazioni che dovranno dare vita ad una nuova “cosa”. E’ vero il contrario, ovvero che senza Rifondazione Comunista questo processo sarebbe stato, e sarebbe in futuro, impraticabile. Il Cpn ha votato una risoluzione nella quale si menziona la realizzazione di un “soggetto unitario e plurale” per contribuire alla rinascita della sinistra e all’affermazione delle nostre tante ottime ragioni nel tempo della globalizzazione neoliberista e guerrafondaia.
Allora vorrei chiedere al compagno Alasia il perché di affermazioni tanto aspre? Perché ritira fuori la novella infelice, che ho trovato scritta tante volte sul “Bestiario” di Pansa o su altri commenti simili nel corso degli ultimi quindici anni, del «Fausto mentore e profeta» che nessuno ha mai visto «in un ruolo operativo»? Ho sempre ammirato Gianni Alasia. Le sue parole mi fanno pensare ad un clima che non corrisponde a quello respirato nell’ultimo Cpn. Per questo mi arrabbio, ma mi interrogo anche. Il passaggio difficile che abbiamo di fronte non è il primo di questa portata. La migliore risposta l’abbiamo sempre trovata guardando fuori di noi, incontrando uomini e donne, lavoratori e lavoratrici, movimenti reali nella società. Non siamo mai stati un partito bloccato ed autoreferenziale. E poi, sinceramente, credo che voler bene a questo partito significhi non solo conservarlo, cosa che faremo di sicuro, ma anche renderlo vivo, aperto e utile per tante e tanti che non si rassegnano all’esclusione dalla politica. Non è forse quello che Fausto Bertinotti ha fatto e continua a fare?