No Bifo, sul caso Bologna non abbiamo tenuto un profilo basso

Ho letto con attenzione il contributo di Bifo (Liberazione, 9 dicembre) così come quelli di altri nelle ultime settimane.
Gli spunti di riflessione forniti all’attenzione dei lettori del nostro giornale, così come all’attenzione di un’opinione pubblica altrimenti sottoposta ad un bombardamento mediatico volto a costituire un “senso comune governista” privo di elementi critici, sono preziosi e – in buona parte, nell’opinione del Prc – patrimonio di una discussione che ha coinvolto e coinvolge tutto quello che è stato ed è il “movimento bolognese”: compreso, quindi, il nostro partito. Introduco in questo modo per sollevare alcune questioni, a mio avviso sfiorate e non approfondite dal suo ragionamento. Franco dice, ad un certo punto, che il nostro partito «ha mantenuto sul caso Bologna un profilo basso. Evitare di esasperare i toni è stata la scelta saggiamente perseguita». Ovviamente, estrapolare una frase dal contesto di un ragionamento può rappresentare una limitazione allo sviluppo dello stesso… ma, cerchiamo di capirci…!
Intendo dire che il Prc bolognese ha affrontato dall’autunno 2003 la questione del governo cittadino e locale. Lo ha fatto interrogandosi
su quale dovesse essere il suo ruolo, in quella prospettiva.
Lo ha fatto rispondendo che partecipare al governo – a livello locale come al “centro” – poteva realizzarsi all’unica imprescindibile condizione che il Prc fosse l’interprete (certo, non l’unico!) delle domande, dei bisogni, delle aspirazioni e dei progetti di quei settori sociali, culturali e politici che nel movimento hanno trovato possibilità di esprimersi e svilupparsi. Progetti intesi come nucleo attorno al quale costruire – realizzare concretamente – quello che con uno slogan definiamo “un altro mondo possibile”. La risposta che abbiamo cercato di dare all’interrogativo sulla partecipazione al governo dice che questa è praticabile solo se nasce dal legame con le lotte – il “conflitto” – e se le accompagna fin dentro le stanze dei bottoni e se – in costante, stretta relazione con i soggetti sociali, culturali e politici
che ne sono protagonisti – ne permette un ulteriore sviluppo che le faccia pesare nelle scelte di governo.
Sappiamo perfettamente che non stiamo parlando di una prospettiva rivoluzionaria: non sembra essere all’ordine del giorno.
Lo sapevamo anche nell’autunno 2003, quando gli stessi interrogativi li ponemmo nelle assemblee di movimento, chiedendo che si qualificasse l’attenzione critica che tutti avevamo per le amministrative 2004. Forse quella fu un’occasione sprecata, di discussione
e confronto e proposta: andammo a quelle elezioni in ordine sparso, noi, i verdi, i disobbedienti, altri ancora a far da sponda “collateralista” a varie strutture di partito (in particolare ai Ds).
Altri restarono muti. A fronte dei silenziosi, considero più chiara la posizione di chi non accetta compromessi e non cerca alcuna forma di interazione con “il palazzo”. Questa posizione ha il merito di conservare una coerenza che non scende a compromessi: non so se sia produttiva sotto il profilo politico, ma questa è una discussione annosa e mai conclusa.
Veniamo all’oggi. Al “governiamo legalitario” di Cofferati a Bologna. A quell’idea di «rispetto/ripristino della legalità come precondizione per ogni azione di governo e di soluzione dei problemi» che il Cofferati/premier sbandiera da sette mesi, usando Bologna come punto di appoggio per il suo disegno politico e che non gli permette di proferir verbo su quello che succede in Val di Susa.
A soli 350 km dal Lungoreno, le stesse parole (difesa della legalità) e gli stessi metodi (ruspa e manganello) vengono esemplarmente
usati da un governo che li ha sperimentati a Genova. Da una destra al potere che in questo si fa interprete del programma che fu di Scelba,
Tambroni, Cossiga, tanto per non fare (troppi) nomi. Tengo insieme queste due questioni non per amore di polemica. Le tengo insieme perché penso che un dei compiti della sinistra – all’opposizione come al governo – sia quello di stabilire quale debba essere l’ambito in cui si sviluppa la dialettica tra rappresentanza popolare (ad esempio, gli eletti) e il popolo stesso con le sue proprie organizzazioni, associazioni e soggettività. Mi spiego meglio: non può essere che tale legame sia forte quando i partiti di centro-e-sinistra sono all’opposizione; forte al punto di essere temuto (vedi Val di Susa) quando si è nella stretta delle campagne elettorali; ignorato, cancellato quando gli stessi partiti raggiungono il governo. Qui si pone un problema serio, enorme, che non può che divenire drammatico se resta irrisolto o se viene risolto con misure – verbali e pratiche – di tipo populistico/autoritario.
Provo ad essere più chiaro, attraverso qualche esempio. La lotta dei metalmeccanici è giusta e sacrosanta oggi; pensiamo che lo sarebbe anche se – e potrebbe essere domani – al governo ci fosse il centro-e-sinistra! La lotta per chiudere i Cpt è giusta e sacrosanta oggi; chiudere con tutte le norme e leggi che li hanno istituiti è obiettivo di un eventuale governo del prof. Prodi!
La lotta contro la Tav non chiede una semplice moratoria pre-elettorale che faccia respirare il governo Berlusconi come il governo regionale di Mercedes Bresso; sarà una delle questioni poste in cima all’agenda del prossimo governo, dovesse pure essere quello di Prodi! Il rinnovamento e la riforma della scuola pubblica italiana non sono legati solo allo smantellamento della mostruosità partorita dalla ministra Moratti; richiederanno uno sforzo di progettazione e investimenti economici adeguati, non il rispolvero di tentativi di riforma a costo zero. Mi fermo qui; ma bisogna che la sinistra, bisogna che chi si candida ad essere alternativa reale a Berlusconi e al
governo delle destre, dica con chiarezza se è questo il quadro nel quale si inserisce la richiesta di consenso che avanza a questo Paese. Oppure, con altrettanta nettezza e chiarezza, dica che non intende essere una alternativa concreta a Berlusconi e al liberismo, dica che intende proseguire sul cammino intrapreso nel periodo ’98-2001, che intende essere liberista con un poco di eleganza in più.
Perché solo questa chiarezza permetterà di scegliere un’ipotesi politica – che comprenda anche un governo di alternativa – nella quale
la questione che pongono gli abitanti della Val di Susa sia affrontata a partire da bisogni reali dei cittadini e non a partire dagli interessi
dei costruttori (vero, ministro Lunardi?). Perché solo questa chiarezza permetterà di scegliere un’ipotesi politica che affronti e risolva non solo la questione del contratto dei metalmeccanici, ma tutta la drammatica condizione dei lavoratori, a partire da quelli precarizzati, flessibilizzati: cioè, sfruttati e marginalizzati. Perché solo questa chiarezza permetterà di scegliere un’ipotesi politica dove gli immigrati non siano – di giorno – braccia da fatica necessarie al lavoro e al profitto in nero, poi – di notte – clandestini da braccare.
Possiamo dire che questo ragionare ci riporta a Bologna. E mi riporta al dialogo con Franco, con tutti i compagni che hanno fronteggiato
l’offensiva moderata che ha raggelato molte speranze, a Bologna, ma non ha cambiato la volontà di cercare, costruire e praticare un altro modo di risolvere i problemi veri.
Anche qui, mi spiego meglio attraverso qualche esempio. Alla fine di agosto, esplode il “caso Bellaria”. L’Ausl decide la chiusura della
prestigiosa neurologia di quell’ospedale: razionalizzazione, la motivazione. Un movimento di utenti, loro familiari e relative associazioni,
di personale infermieristico e di tecnici, di medici e di tutte le varie rappresentanze sindacali si mobilita, il Prc ne diventa un interlocutore
e agisce dentro quel movimento e dentro le istituzioni (Comune e Provincia): risultato della mobilitazione e della pressione (compresa la
nostra, direi!), il reparto riapre e funziona regolarmente. E’ un risultato oppure no? In quella vicenda, tutto si può dire del Prc, fuorché abbia tenuto un basso profilo… La stessa cosa vale per l’assunzione a tempo indeterminato dei precari di Iperbole e di quelli della Sala Borsa. Il basso profilo, non lo abbiamo tenuto il giorno delle manganellate di Palazzo D’Accursio, né nelle lotte degli studenti, dei senza casa, dei migranti. Essere in prima fila, per il Prc, non è questione di rappresentanza o di rilievo mediatico. E’ stato il modo per ottenere qualche risultato; per rendere coerente ed efficace anche il nostro impegno nel governo locale. Certo, possiamo fare di più e meglio… certo, potremmo essere un partito più forte, non solo e non tanto da un punto di vista elettorale… certo, anche questo conta e conterà… ma, caro Franco, questo non dipende solo dai compagni del partito della Rifondazione comunista.