John Rees, fondatore di «Stop the War Coalition»: così siamo come i terroristi
John Rees è uno dei fondatori di Stop the War Coalition, la coalizione creatasi dopo l’11 settembre 2001 per contrastare da una parte la guerra in Afghanistan e dall’altra per lavorare assieme alla comunità musulmana britannica per costruire un fronte comune contro la guerra e contro la criminalizzazione dei musulmani. Un primo terreno di battaglia per Stop the War è stata la legislazione anti-terrorismo varata dal governo di Tony Blair dopo l’11 settembre. La reintroduzione de facto della shoot-to-kill, la politica dello sparare per uccidere condotta dalle truppe britanniche nelle sei contee nordirlandesi, ha fatto rizzare i capelli alla sinistra e a Stop the War. Anche perché c’è già stata la prima vittima innocente, Jean Charles de Menezes. Stop the War ha organizzato ieri sera una veglia in suo ricordo.
La coalizione ha condannato la licenza d’uccidere concessa alla polizia.
Per quanto terribili siano stati gli attentati del 7 luglio a Londra e per quanto importante sia garantire la sicurezza dei cittadini non ci sono scuse che possano giustificare la politica dello shoot-to-kill. Ammazzare persone innocenti a sangue freddo è il crimine per cui denunciamo i terroristi e condanniamo fermamente attentati come quelli di Londra. La polizia in una società democratica deve rifiutare metodi che poco hanno a che fare con la democrazia. Il governo Blair ha la responsabilità di aver creato un clima di paura che non giova ad affrontare con la necessaria lucidità quanto accade.
La sinistra è stata unanime nella condanna dei nuovi poteri concessi alla polizia. Con un’unica eccezione, il sindaco di Londra.
Sì. Ken Livingstone è stato l’unico a sostenere che la shoot-to-kill è una pratica inevitabile quando si tratta di difendere la sicurezza dei cittadini. Lo stesso Livingstone che invece, giustamente, condannava l’uso di questo stesso strumento nel nord Irlanda.
Chi conosca e lavori con la comunità musulmana britannica conosce bene il disagio e la rabbia che la attraversa. C’è un problema pratico di ghettizzazione e discriminazione ed uno più legato alle giovani generazioni che si interrogano sulla loro identità.
Negli ultimi quattro anni c’è stata da parte di questo governo una progressiva e costante criminalizzazione della comunità musulmana. Perciò suonano davvero ipocriti gli inviti a non fare di tutta l’erba un fascio che Tony Blair va ripetendo pur continuando a parlare di «ideologia del male» con evidente riferimento all’islam. Inoltre il continuo rifiuto del premier di riconoscere un qualunque legame tra la guerra in Iraq e il terrorismo che ha colpito anche Londra, inevitabilmente addossa la colpa agli islamici. Il governo sta cercando di co-optare il maggior numero di leaders musulmani, per poi sferrare l’affondo su chi non ha accettato e non ha fatto propria la linea governativa. Il dibattito nazionale riflette tutto questo: il paese è diviso tra chi, come il governo e i suoi sostenitori, ritiene che le bombe siano solo il frutto dell’ «ideologia del male» e chi invece ritiene che le bombe abbiano radici nelle invasioni e occupazioni di Palestina, Afghanistan e Iraq. Finora la maggioranza del movimento contro la guerra ha respinto le pressioni del governo. L’opinione pubblica, stando ai sondaggi, pensa al 64% che ci siano legami evidenti tra la guerra in Iraq e le bombe del 7 luglio. Per questo Stop the War Coalition sta organizzando veglie, presidi, assemblee e il 4 agosto una manifestazione nazionale per chiedere il ritiro delle truppe dall’Iraq. Poiché pensiamo che non ci sia una soluzione ‘interna’ alla comunità musulmana a questa crisi di leadership, riproponiamo l’approccio che ci ha contraddistinto: lavorare assieme per creare una risposta politica rinnovata, contraria alla guerra ma intransigente sulla difesa delle libertà civili.