No all’ integrazione politica Ue. L’ ultimo successo dei falchi Usa

SAN FRANCISCO – Non ha la stessa visibilità della testa di Saddam, ma nella galleria di trofei di caccia dei neoconservatori americani il fallimento del vertice sulla Costituzione europea è un successo di primaria importanza. Per i falchi che ispirano la politica estera di Bush – Paul Wolfowitz, William Kristol, Richard Perle, Robert Kagan – l’ integrazione politica dell’ Unione europea è una potenziale sfida alla leadership unipolare degli Stati Uniti. Dopo l’ 11 settembre, la guerra al terrorismo si è articolata in una strategia sempre attenta a indebolire il progetto europeo. Ogni opportunità è stata sfruttata perché la coesione tra gli europei diventasse una vittima collaterale del conflitto in Iraq. La distinzione del segretario alla Difesa Donald Rumsfeld tra «vecchia e nuova Europa» alla fine è diventata una profezia capace di autoavverarsi nella paralisi decisionale sulla nuova Costituzione. Il primo segnale della nuova politica americana risale alla fine di settembre del 2001, quando Bush decide l’ intervento in Afghanistan (i bombardamenti iniziano il 7 ottobre). Gli alleati offrono agli Stati Uniti di fare scattare la clausola di assistenza a un partner in pericolo – l’ articolo 5 del Trattato Nato – ma si sentono rispondere «no grazie». L’ America farà sapere di volta in volta se le serve qualche aiuto e di che natura, ma vuole agire fuori dai vincoli decisionali di una coalizione. L’ 11 settembre è l’ occasione per riprendersi una libertà d’ azione assoluta. La svolta si precisa nel discorso sullo Stato dell’ Unione, il 29 gennaio 2002: Bush lancia l’ avvertimento contro «l’ asse del male» – Iraq, Iran, Corea del Nord – segnalando così che la guerra in Afghanistan è solo la tappa di un progetto più ambizioso. Il primo giugno 2002 all’ accademia militare di West Point il presidente espone la dottrina della «azione preventiva». E’ una rottura di continuità. Ogni residuo attaccamento al multilateralismo, alla legalità internazionale, alle istituzioni sovranazionali, viene reciso. Per gli europei la dottrina è inaccettabile. Nell’ estate 2002 il tam tam di Washington indica la chiara vittoria dei neoconservatori contro i moderati in seno all’ Amministrazione Bush, e la scelta di attaccare Saddam Hussein accentua l’ allarme a Parigi e Berlino. Ma l’ Europa vive su Venere, l’ America su Marte, teorizza Kagan, e il «soft power» caro al Vecchio continente è condannato all’ irrivelanza su un pianeta disciplinato dal gendarme americano. All’ inizio del 2003, quando Washington stringe i tempi per l’ offensiva in Iraq, Chirac e Schroeder si irrigidiscono al Consiglio di Sicurezza dell’ Onu. Il 22 gennaio durante una visita a Praga Rumsfeld è sferzante: dichiara che l’ asse franco-tedesco rappresenta il vecchiume, mentre il centro di gravità dell’ Unione si sposta a Est grazie all’ allargamento, quindi il futuro dell’ Europa è filo-americano. Una settimana dopo, l’ attacco di Rumsfeld porta già il suo primo frutto. Otto leader europei – Blair, Aznar, Berlusconi, Havel e i colleghi polacco, ungherese, danese e portoghese – pubblicano un testo congiunto sul Wall Street Journal che omaggia gli Stati Uniti ed è una chiara presa di distanza dal nucleo franco-tedesco. Segue, il 5 febbraio, la dichiarazione dei dieci di Vilnius: paesi dell’ Est candidati all’ adesione che sostengono la politica americana. Chirac dirà che «hanno perso l’ occasione per stare zitti», ma questo non fa che accelerare le spinte centrifughe. Il 29 aprile sono Francia e Germania, insieme a Belgio e Lussemburgo, a tentare una fuga in avanti con il «piano Tervueren»: un progetto di difesa comune europea con una sede anche fisicamente separata dal quartier generale della Nato a Bruxelles. Il 16 settembre l’ ambasciatore americano alla Nato lancia una dura messa in guardia: «L’ Europa non ha bisogno di altri quartieri generali». Nello stesso mese The Weekly Standard, il settimanale dei neoconservatori Usa, intitola la sua una copertina Against United Europe (contro l’ Europa unita). La rivista diretta da Kristol sostiene che Washington non deve sottovalutare il progetto della nuova Costituzione europea: dietro quel cantiere istituzionale c’ è il vecchio sogno della Francia gollista di costruire una potenza alternativa agli Stati Uniti. Sono lontani i tempi dell’ appoggio americano al Mercato comune (dal piano Marshall all’ Amministrazione Kennedy). E’ superata anche quella ambiguità tattica della realpolitik kissingeriana, che amava un’ Europa debole e al tempo stesso si lamentava di non avere un «numero di telefono unico» da chiamare a Bruxelles per negoziare sui dossier mondiali. L’ ultimo siluro, a poche ore dall’ apertura della conferenza intergovernativa di Bruxelles, arriva dal Pentagono. Proprio mentre Bush manda il vecchio James Baker in giro per le capitali mondiali a chiedere soldi per alleviare il debito iracheno, la Difesa pubblica la lista dei paesi esclusi dal business della ricostruzione dell’ Iraq. Germania e Francia sono tra i puniti, mentre Inghilterra Italia Spagna e Polonia in quanto membri della coalizione figurano ovviamente tra i «buoni». Di fronte alle proteste Bush ancora una volta sceglie di appoggiare i falchi contro i moderati (cioè il Pentagono contro Baker). Il cuneo che l’ America inserisce tra la vecchia e la nuova Europa è più visibile che mai. Il resto è la cronaca delle giornate di Bruxelles.