“No” al referendum

Poiché condivido completamente gli interventi che mi hanno preceduto, eviterò di ripetere argomenti già trattati ed eviterò un comizio, visto che tra noi non c’è dubbio alcuno su come votare. Tenterò invece di fare un ragionamento un po’ più di fondo sulla Costituzione e sulle prospettive post-referendarie.
Per prima cosa: perché si vota il 25 e 26 giugno? L’articolo 138 della Costituzione stabilisce che se una modifica costituzionale viene approvata senza la maggioranza qualificata dei 2/3 dei componenti delle due Camere è prevista la possibilità di richiedere un referendum confermativo. Il centrodestra ha approvato nelle aule la riforma con uno scarto di 60 voti, dunque senza i 2/3, ed il centrosinistra ha richiesto il referendum popolare. Vorrei partire da qui e da una domanda: è la prima volta in Italia che si vota per confermare un cambiamento costituzionale? No, non è la prima volta, anche se sono in pochi a ricordarlo. Noi comunisti abbiamo la memoria lunga e non dimentichiamo che si è già votato, sempre per un referendum confermativo di modifica del testo costituzionale, il 7 ottobre 2001. In quel caso il centrosinistra al governo approvò alle Camere la riforma del titolo V con dieci voti di scarto e anche l’allora opposizione di centrodestra richiese il referendum.
Noi di Rifondazione Comunista votiamo contro oggi, diciamo “No” in questo referendum, e riteniamo che il nostro “No” sia ancora più forte perché coerente con quello che esprimemmo già sei anni fa. Voglio ricordare infatti che nel referendum del 2001 noi ci siamo opposti, in Parlamento come nelle urne, mentre la parte più consistente del centrosinistra, ovviamente, ha votato a favore.
Penso ci voglia coerenza. Non si può dire no ad una legge solo perché la propone Berlusconi. Noi ci opponiamo a questa riforma perché avrebbe effetti negativi per il Paese: diremmo no chiunque fosse il promotore. Bisogna avere coerenza, altrimenti non si è credibili nei confronti del Paese e la politica rischia di allontanarsi sempre più dalla società e dal popolo. Questo è il rischio maggiore per noi tutti e per la stessa Carta costituzionale.
Noi pensiamo che il centrodestra oggi, con questa controriforma, porti alle estreme conseguenze un orientamento politico e culturale già perseguito dal centrosinistra negli anni passati. Vediamo, infatti, nello specifico cosa prevede la riforma costituzionale del governo Berlusconi. Citerò solo alcuni punti più importanti.
In primo luogo la controriforma prevede una impostazione presidenzialistica, a partire dall’elezione diretta del presidente del consiglio. Ma di cosa ci meravigliamo? E’ vero o non è vero che il centrosinistra per anni ha teorizzato il fatto che l’elezione diretta del capo del governo fosse più democratica dell’elezione parlamentare? E’ vero o non è vero che invece che spingere sul vero problema che ha l’Italia, che è la democrazia, la collegialità, la partecipazione, si è spinto e si spinge sulla governabilità, sulla stabilità, eccetera ? Non funzionano così le elezioni dei sindaci e dei presidenti di Regione? Voglio ricordare che noi di Rifondazione Comunista, l’anno scorso, non abbiamo votato a favore, pur essendo in maggioranza, del nuovo Statuto della Regione Emilia-Romagna proprio perché esso contiene, secondo una impostazione presidenzialistica, l’elezione diretta del Presidente della Regione. Non capisco perché ciò che al centrosinistra non va bene a livello nazionale vada bene, invece, per Comuni e Regioni. Il presidenzialismo e l’elezione diretta del premier è sbagliata e negativa sia che avvenga per il Capo del governo sia che avvenga per i Sindaci o per i Presidenti di Regione. Anche in questo ci vorrebbe più coerenza.
Sempre per quanto riguarda l’impostazione presidenzialista vorrei far notare che la riforma del governo Berlusconi prevede un’altra cosa negativa: il conferimento al Capo del governo di poteri fino ad oggi appannaggio del Presidente della Repubblica come, ad esempio, il potere di nomina e di revoca dei ministri. Anche qui mi chiedo: non è così che già funzionano le Regioni e i Comuni? Non sono già oggi il sindaco Cofferati o il presidente Errani che nominano, senza alcuna possibilità di controllo democratico da parte delle assemblee elettive, gli assessori? Assessori che diventano così semplici tecnici, parte dello staff del Presidente della Regione o del Sindaco senza alcun ruolo.
Inoltre la riforma di Berlusconi prevede che sia la sola Camera dei Deputati a votare il programma del Presidente del Consiglio ad inizio legislatura. Non è più previsto il voto di fiducia. Vorrei, anche in questo caso, sottolineare che per Regioni e Comuni è ancora peggio: non solo non è previsto alcun voto di fiducia ma non c’è nemmeno un voto sul programma! Il Presidente della Regione o il Sindaco non sono tenuti nemmeno ad andare in aula a chiedere il voto sul programma e, di conseguenza, Comuni e Regioni, da questo punto di vista, funzionano ancora peggio di come prevede la riforma Berlusconi, in una forma ancora più presidenzialista.
Per concludere sul presidenzialismo, vorrei ricordare che la sfiducia votata dalla Camera porterebbe alle dimissioni del premier ed al conseguente scioglimento delle Camere. Già oggi le Regioni e i Comuni funzionano così e le assemblee legislative locali sono sottoposte al ricatto perenne dei sindaci e dei presidenti di Regione. Di più: la controriforma Berlusconi prevede almeno la via d’uscita della sfiducia costruttiva, con un meccanismo che permette di recuperare, senza elezioni anticipate, nell’ambito della stessa maggioranza, un nuovo primo ministro in caso di sfiducia del Parlamento. Questo minimo temperamento del presidenzialismo e questa via di uscita da una crisi nelle Regioni e nei Comuni non è previsto. Ci sono solo le elezioni anticipate. Ricordo che nella discussione sullo Statuto dell’Emilia-Romagna l’Ulivo non ci concesse nemmeno la sfiducia costruttiva: si è affermato il presidenzialismo puro, esautorando completamente le Assemblee elettive.
È evidente il proposito di andare avanti in un processo di involuzione autoritario già avviato da anni. Un processo che ha avuto un punto di svolta decisivo nel referendum populista del 1993 promosso da Mario Segni, Achille Occhetto e Luigi Abete, al tempo presidente di Confindustria, per la cancellazione del sistema proporzionale e l’introduzione del sistema maggioritario nel nostro Paese.
Il sistema maggioritario – ciò è evidente – fa il paio con l’ipotesi presidenzialista e plebiscitaria, in un contesto di involuzione autoritaria e personalistico-privatistica dello Stato e di svilimento della partecipazione popolare alle decisioni politiche.
A sua volta questo processo si intreccia con la concertazione: il Presidente eletto ogni cinque anni dal popolo concerterà con gli altri poteri forti, da Confindustria al Vaticano, dai generali dell’Esercito ai comandi militari Usa e Nato, per decidere il destino del Paese, le sorti delle condizioni materiali e spirituali della popolazione del nostro Paese. Il nostro “No” è un “No” a questo tentativo di cancellare del tutto la partecipazione popolare e, per questa via, distruggere ogni possibilità di resistere e di frapporre ostacoli al sistema del neo-liberismo e della guerra. Questo sistema, che sta travolgendo anche l’Europa, ha come modello l’autoritarismo militarista statunitense. Noi respingiamo questa controriforma anche per questo motivo.
C’è un secondo, grande elemento di controriforma che riteniamo inaccettabile: il federalismo, lo spezzettamento dell’Italia in tanti territori in guerra tra loro ed in competizione continua, con diritti e condizioni istituzionali diverse. È l’Italia di Arlecchino. L’ipotesi federalista è l’altra faccia del presidenzialismo: spezzettata l’Italia, l’unico elemento di unità nazionale, anche dal punto di vista simbolico, rimane il Capo del governo. Divide et impera.
La controriforma federalistica conferisce altri poteri alle regioni, oltre a quelli già conferiti nel 2001 dalla controriforma Amato del titolo V della Costituzione. Quella controriforma fu causa di una miriade di ricorsi alla Corte costituzionale da parte del governo contro le Regioni e viceversa. In cinque anni ho vissuto in prima persona una conflittualità e una confusione continua tra le competenze. Abbiamo fatto e subìto decine di ricorsi, proprio per il caos creato dalla riforma del governo Amato. Il centrodestra, invece di correggere quegli errori, chiede di andare oltre, di procedere nel caos e nello spezzettamento delle competenze alle Regioni, come nel caso della sanità, della scuola e della polizia amministrativa.
Ma il federalismo dove nasce? Nasce dalla Lega Nord, non dal centrosinistra. Il federalismo è una parola che di per sé ha una bella origine: deriva da fedus e significa unione. Il federalismo significa l’unione di parti divise. Anche gli Stati federali nascono così: come operazione di unificazione di staterelli divisi, come la Germania o gli Usa. Ma l’Italia è uno Stato unitario e chi propone il federalismo propone di dividere il nostro Paese per poi riunificarlo su nuove basi.
Questa logica in Italia nasce dall’egoismo sociale di specifici settori del Nord italiano, a partire dalle piccole, medie e grandi imprese che hanno sostenuto in tutti questi anni una tesi semplice: le risorse create dal territorio devono rimanere sul territorio e non andare a Roma per essere ridistribuite in tutta Italia. Le tasse devono rimanere a noi: questa logica egoistica non è solo della Lega Nord ma di molte altre regioni del Nord, compresa l’Emilia Romagna, ed è presente anche nei DS così come già nell’ultimo PCI. Il ragionamento è paradossale: come se le tasse che paga la Fiat dovessero rimanere a Torino! Questa è una logica aberrante. Produrrebbe la frantumazione dei diritti sociali, aggravando la già pessima situazione attuale.
Occorre invece operare per riunificare l’Italia a partire dall’unitarietà delle condizioni sociali: un unico sistema fiscale basato sul principio della progressività, condizioni salariali identiche per tutte le parti del Paese, ricostruire un sistema unico dei trasporti, investendo le risorse per intervenire laddove, come nel Sud Italia, esso è lacunoso se non inesistente.
Il problema vero è che si tenta di dividere l’Italia socialmente ed istituzionalmente per portare il Nord Italia ad essere il primo satellite del motore forte dell’Unione Europea (Francia-Germania): satellite dell’Europa di Maastricht, delle banche e del capitale. E’ lo stesso meccanismo che ha prodotto la disgregazione della ex Jugoslavia e l’immediato riconoscimento, guarda caso da parte della Germania, delle repubbliche secessioniste di Croazia e Slovenia. Contemporaneamente il Sud sarebbe ricacciato nel Mediterraneo, più vicino all’Africa che all’Europa.
Infine vorrei affrontare un ragionamento complessivo sulla nostra Carta costituzionale: il modo migliore per stravolgere la costituzione è quello di ritualizzarla, di difenderla in modo rituale e formale. Con la mano sinistra si produce una difesa formale e rituale della Costituzione, con la mano destra la si calpesta nei fatti. È la critica che avanzo al Presidente della Repubblica Napolitano, che da un lato regala la Costituzione agli studenti e dall’altro sostiene che in Iraq ed in Afghanistan non si è violato l’articolo 11 della nostra Carta. Questo è il modo migliore per distruggere la Costituzione. Mentre il centrodestra sostiene uno stravolgimento aperto della Costituzione, il centrosinistra ne sostiene uno nascosto, nascosto dalla sua difesa rituale.
Faccio solo tre esempi dalla nostra Costituzione.
L’articolo 11 dice testualmente: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla liberta degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. L’articolo 11 utilizza un termine preciso e non casuale. Dice: l’Italia ripudia la guerra. Il “ripudio” è un termine preciso e forte. Il fascismo ci aveva portati in guerra; i partigiani e i costituenti hanno scritto senza equivoco che la guerra era da ripudiare. Oggi le guerre a cui l’Italia partecipa calpestano violentemente quell’articolo. È ridicolo parlare di missioni di pace in Iraq o in Afghanistan. Ma la domanda che rivolgo a Napolitano, all’Ulivo oggi così come a Berlusconi ieri è: l’Italia è in Afghanistan per conto suo oppure in alleanza con gli Usa? Ed è vero o è falso che gli Usa in Iraq radono al suolo intere città con il fosforo bianco, come a Fallujia, trucidano uomini, donne e bambini, costruiscono lager come Guantanamo e Abu Ghraib, dove torturano fino alla morte prigionieri di guerra, rastrellati per strada, spesso innocenti? E noi non siamo in Iraq alleati degli USA ? Ed è vero oppure no che il governo USA, nostro alleato, ha detto una bugia colossale, sulle armi di distruzione di massa di Saddam, per costruire il pretesto per cominciare la guerra ? Quindi noi siamo alleati di bugiardi e criminali.
Come si fa a dire che siamo in missione di pace? È davvero molto grave che si dica una cosa di questo genere! Ecco perché con una mano si santifica la Costituzione e con l’altra la si infanga e la si distrugge. Se si vuole rispettare ed onorare veramente la Costituzione bisogna ritirare immediatamente le forze armate italiane dall’Iraq e dall’Afghanistan.
Secondo esempio: l’articolo 1 afferma che l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. Non è un caso che questo articolo sia collocato come primo: riconosce e valorizza il ruolo del lavoro e dei lavoratori. Come il fascismo aveva calpestato i lavoratori ed i loro diritti, così i partigiani e i costituenti hanno rimesso al centro i diritti dei lavoratori.
Domanda: l’Italia di oggi è fondata davvero sul lavoro e sui lavoratori oppure sul profitto e sul mercato, nuovi valori della politica e della cultura neoliberista, insieme allo sfruttamento e all’arricchimento facile (come si vede dai continui scandali per corruzione che si verificano nel nostro Paese) ? Non prendiamoci in giro: per rispettare l’articolo 1 della Costituzione bisognerebbe almeno abrogare la legge 30 e mettere al centro la difesa dei diritti dei lavoratori, reintrodurre una nuova scala mobile per dare dignità ai salari.
Terzo esempio: cito due articoli assolutamente dimenticati ma importantissimi, gli articoli 42 e 43. L’articolo 42: “La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti. La proprietà privata può essere, ni casi previsti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi di interesse generale”. Qui si parla a chiare lettere della possibilità di “espropriazione” della proprietà privata, la quale peraltro deve avere dei “limiti” di carattere sociale. Mi pare proprio l’opposto di ciò che è avvenuto in Italia. E ascoltate attentamente cosa dice l’articolo 43: “Ai fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminnte interesse generale”. Anche qui ancora ricorre il termine “espropriazione”, questa volta non riferito alla proprietà privata in generale ma alla proprietà dei servizi pubblici. In Italia è avvenuto tutto il contrario di ciò che prescrive la Costituzione: la privatizzazione dell’energia, delle telecomunicazioni, dei servizi pubblici locali, acqua, gas, trasporti. Vorrei ricordare che il primo governo Prodi tra il 1996 e il 1998 si vantò in Europa di aver raggiunto il record di privatizzazioni in Italia. Chi ha calpestato dunque la Costituzione, aprendo una autostrada all’opera apertamente demolitrice di Berlusconi ?
Vorrei concludere dicendo che se non si inverte questa tendenza nella società la Costituzione rimarrà una carta e nei fatti non varrà più niente. Noi rischieremo, così, di difendere un’icona, un santino, un simbolo. Abbiamo bisogno, invece, di una difesa meno liturgica e più di sostanza della Costituzione e dei suoi contenuti politici, economico-sociali, democratici, nei processi reali che avvengono nel Paese. Sono i rapporti di forza fra le classi ad essere decisivi. Per questo auspichiamo la nascita e la crescita di forti movimenti di lotta che spostino i rapporti di forza nella società: solo così è possibile difendere e migliorare la Costituzione italiana.