«Siamo pronti a un compromesso», dice lo sceicco Kassem, con lo sguardo soddisfatto di chi si sta godendo una vittoria. Con &la madre di tutte le manifestazioni» come prova della sua forza – più di un milione di libanesi in piazza domenica – Hezbollah è diventato magnanimo. Kassem non sembra nemmeno intressato agli sforzi del «fratello» Ahmadinejad di disconoscere l’Olocausto: «È sempre una tragedia quando gli esseri umani vengono uccisi». Naim Kassem, 53 anni, non ha fra le mani solo il destino di Fuad Siniora, del suo Governo e del Libano. È secondo in comando, dietro ad Hassan Nasrallah, di un movimento che è l’avanguardia militare del fronte anti-americano in Medio Oriente, che può influire sulla sicurezza dei nostri soldati al Sud, decidere pace e guerra con Israele, la libertà dei suoi ostaggi. «Non vogliamo che il Libano faccia parte di quello che gli americani chiamano Nuovo Medio Oriente», spiega Kassem.
Una Mercedes dai vetri oscurati porta dal centro di Beirut alla periferia, in un ufficio fra le case diroccate, nell’epicentro dei bombardamenti israeliani della scorsa estate. Una lunga attesa, un tè, una perquisizione, poi un altro viaggio a bordo di una Bmw dai cui sedili posteriori non si può vedere nulla, circondati a ogni lato da pesanti tende nere. Per i servizi segreti israeliani Kassem è un obiettivo. Dopo una ventina di minuti la portiera si apre in un altro scantinato. A un piano indistinguibile di una casa sconosciuta, in un ufficio senza segni di riconoscimento, l’uomo che 20 anni fa aveva fondato Hezbollah con Nasrallah – e suo successore se dovesse accadergli qualcosa – finalmente appare sorridendo. Dieci giorni fa il movimento islamico aveva portato la gente in piazza perchè, con i suoi alleati, vuole controllare un terzo dei posti in consiglio dei ministri: la forza necessaria per porre il veto su ogni decisione. L’offerta di Amre Mussa, il segretario della Lega araba, riconosce questo terzo, ma propone un ministro in più, ago della bilancia, attribuito a una personalità indipendente, accettata sia dalla maggioranza che da Hezbollah. «Non accettiamo altre proposte tranne questa», ribadisce Kassem.
Non chiederete un primo ministro diverso da Fouad Siniora?
Non è una questione decisiva, siamo aperti a ogni soluzione. Se gli americani non avessero interferito, la crisi sarebbe già stata risolta. I tempi saranno lunghi perchè gli Usa, alcuni Paesi arabi e, quel che è peggio, Israele controllano Siniora.
Si teme che l’obiettivo di Hezbollah sia la repubblica islamica.
Dobbiamo distinguere la teoria dalla pratica. Come musulmano teoricamente credo a uno Stato musulmano; ma devo considerare ciò a cui crede la gente attorno a me. Il Libano è molto diversificato, è una sua forza. Non abbiamo mai preteso una repubblica islamica, ma la partecipazione al Governo secondo Costituzione.
Iran, Siria, Hezbollah, Hamas. La possiamo chiamare alleanza?
Sono gli americani che hanno un piano per la regione. Condoleezza Rice è stata così chiara: lo ha chiamato Nuovo Medio Oriente. La resistenza libanese ha cacciato gli israeliani fuori di qui. Anche i siriani hanno territori occupati e dunque sostengono libanesi e palestinesi. L’Iran è contro le ambizioni americane e chiama la gente a resistere. Non è un’alleanza ma una reazione, una resistenza alla politica americana.
Il Sud del Libano è un suo campo di battaglia. Secondo Hezbollah la missione Unifil è a tempo determinato?
Lo è per definizione, ma per noi i tempi non sono una cosa importante: vedremo. Il vostro ruolo è aiutare il Libano e il suo esercito, salvaguardare le nostre frontiere impedendo il ritorno degli israeliani. Così noi vediamo Unifil, anche se Israele pretende che soffochiate la resistenza.
Se una pattuglia, diciamo italiana, trova delle armi o degli uomini armati, come dovrebbe comportarsi secondo voi?
Deve rivolgersi all’esercito libanese. Non ha il diritto di arrestare nessuno: informa l’Armée, che procederà agli arresti. Unifil non può muoversi autonomamente nel Sud.
Domenica lei ha parlato in piazza a Beirut, dicendo che la resistenza
continua. Qual è la vostra presenza al Sud?
Non abbiamo alcuna presenza armata a Sud del fiume Litani. Tuttavia siamo fortemente radicati laggiù, esattamente come durante la guerra con Israele. Non saremo noi a compiere azioni militari. Ma se qualcuno violerà il cessate il fuoco, saremo assolutamente pronti a reagire.
Un rapporto Onu dice che Hezbollah si è «pesantemente riarmato».
Noi non parliamo dei segreti militari. L’Onu dovrebbe controllare le sue
informazioni ed essere più attenta e bilanciata. Aggiungo solo che la
resistenza è molto vitale: tutto il resto è affar nostro.
Al Sud sono anche state segnalate infiltrazioni di al-Qaida.
Non ne ho idea. Ma qualcuno affiliato ad al-Qaida esiste: se siano attivi o no, non so dirlo.
Ma se lo fossero, li fermereste?
Perché? Il Sud ora è sotto il controllo dell’esercito libanese e dell’Unifil.
I responsabili sono loro, non noi.
Lei è d’accordo con quello che molti israeliani pensano: che la guerra d’estate sia stato solo il primo round?
Loro ne vogliono fortemente un altro. Vogliono riconquistare quella deterrenza strategica costruita in 50 anni e persa con la nostra vittoria. Ma i desideri e la capacità di realizzarli sono due cose diverse. Noi non vogliamo riprendere la guerra, siamo sempre stati sulla difensiva, non abbiamo mai aggredito.
Intende dire che non prenderete altri ostaggi israeliani.
Basta con queste operazioni. Ora sarebbe giusto uno scambio di prigionieri. Gli israeliani fingono di non essere interessati a un accordo ma sanno che noi andremo fino in fondo.
Almeno sono vivi i due soldati israeliani che avete preso?
Non diamo queste informazioni alla stampa. Ci sono contatti in corso e chi deve sapere conosce le condizioni dei due soldati. No, non ci sono contatti diretti con gli israeliani. Trattiamo con gli emissari di Kofi Annan.