E’ possibile conciliare gli interessi della borghesia e dei lavoratori e quindi costituire un governo con rappresentanti di entrambe le classi?
Intorno a questa domanda ruoterà nei fatti il prossimo congresso del partito. E a questa domanda vorrei rispondessero i dirigenti delle diverse tendenze che stanno intervenendo in questo dibattito.
Ricordando che si tratta di una domanda a cui si può rispondere solo con un “sì” o con un “no”, secondo il principio del terzo escluso.
L’intera storia del movimento operaio (che altri preferiscono ignorare) è ruotata intorno a questa domanda. La risposta dei rivoluzionari da Marx in poi è sempre stata “no”. Non per qualche astratto principio etico, ma per una ragione banale: lo sfruttatore non può accordarsi con lo sfruttato – pena la rinuncia al suo ruolo. Compito dei comunisti (costituiti in “partito indipendente contrapposto a tutti gli altri”) è allora proprio quello di contrastare ogni illusione dei lavoratori in una impossibile collaborazione con la borghesia e i suoi governi. Per fare questo è necessario non isolarsi, non separarsi dalle lotte. Solo nelle lotte i comunisti possono guadagnare i lavoratori alla necessità di un governo realmente loro, della classe operaia.
Se non questo, cosa intendeva altrimenti dire Rosa Luxemburg (lo chiedo al compagno Bertinotti, che spesso si è dichiarato affine a questa grande rivoluzionaria) quando affermava (anche sulle barricate) che i comunisti devono stare sempre all’opposizione finché non sono in grado di rovesciare il capitalismo?
E non è appunto questo elementare concetto di classe che difendeva già Marx già nel 1848 attaccando ferocemente il riformista Louis Blanc che, viceversa, rispondendo “sì” alla nostra domanda iniziale, pensava di poter rappresentare gli interessi degli operai in un governo della borghesia (nato peraltro dalla rivoluzione che aveva cacciato la monarchia orleanista)?
Marx definiva Blanc: «ministro dei pii desideri» (e difatti Blanc stando al governo non riuscì a ottenere nemmeno la riduzione della giornata lavorativa a dieci ore). Ed Engels (in una lettera del ‘94 a Turati) spiegava: «Dopo il febbraio ‘48 i socialisti democratici francesi hanno commesso la colpa di accettare qualche seggio nel governo. Minoranza in un governo dei repubblicani borghesi, essi hanno sostenuto le responsabilità di tutte le infamie votate dalla maggioranza (…)». Per Engels la colpa di Blanc non si fermava lì, perché «mentre tutto ciò succedeva, la classe operaia era paralizzata dalla presenza al governo di questi signori che pretendevano di rappresentarla». Altro che “governare coi movimenti”!
Per questo Marx ed Engels salutavano come un «punto di partenza storico gigantesco» la Comune di Parigi, in cui i lavoratori invece di collaborare con un governo di borghesi “illuminati” avevano costituito per la prima volta «un governo degli operai per gli operai».
Si può anche sbuffare sull’elaborazione marxista: ma si dovrà pur riconoscere che in tutta la storia non vi è – a mia conoscenza, ma sono disposto ad essere smentito – un solo caso in cui un governo con rappresentanti delle due classi fondamentali della società abbia prodotto avanzamenti di qualsiasi genere per i lavoratori. E viceversa in ogni caso governi simili hanno paralizzato le lotte (basti ricordare che durante il primo governo Prodi si è toccato il record negativo delle ore di sciopero).
Al prossimo congresso, al di là del numero dei documenti, tutto il partito sarà chiamato a rispondere alla domanda: è possibile un governo che concili gli interessi dei banchieri di Prodi e degli operai di Melfi?
Progetto Comunista risponde “no”; i compagni Bertinotti e Ferrero rispondono “sì”. E le altre tendenze? A me pare che i compagni dell’Ernesto alla fin fine rispondano “sì”, come riconosce nel suo intervento il compagno Pegolo. Difatti – se capisco bene – è proprio perché pensano possibile uno sbocco di governo che propongono di definire dei punti qualificanti per il confronto (i “paletti”). Si tratta, io credo, di una posizione che è solo apparentemente più realistica -come non sarebbe più realistico se una pecora intavolasse una discussione con un lupo affamato, ponendo come condizione per il dialogo un’alimentazione vegetariana.
Non mi pare chiara quale sia invece la risposta dei compagni di Erre. All’epoca del primo Prodi affermavano che bisognava far nascere il governo perché le masse potessero “fare quell’esperienza”; nei mesi scorsi hanno appoggiato la costituzione delle commissioni di confronto con l’Ulivo e dal V congresso fino a qualche settimana fa hanno sostenuto la linea di maggioranza che ci ha portato coerentemente fino qui; ora Cannavò esprime “perplessità” sull’accordo di governo.
A un certo punto comunque tutti dovranno dare una risposta alla domanda iniziale, attenendosi possibilmente al precetto evangelico: sia il tuo sì, sì e il tuo no, no. Il resto appartiene all’opportunismo.
Francesco Ricci