Nigeria, «l’Agip ha pagato»

Un nuovo messaggio, una nuova doccia fredda per la sorte dei quattro tecnici dell’Agip-Eni tenuti in ostaggio dal 7 dicembre scorso dai ribelli del Movement for the emancipation of the Niger Delta (Mend), nel Delta del Niger. In un comunicato fatto pervenire come di consueto agli organi di stampa, il portavoce del Mend Jomo Gbomo ha raccontato che un tentativo di liberare i sequestrati dietro pagamento di riscatto è miseramente fallito l’altroieri. «L’Agip ha ingaggiato un truffatore noto nel Delta per portare a termine il suo piano. Si trattava di pagare 70 milioni di naira (420mila euro ndr) ai sorveglianti affinché gli ostaggi fossero guidati in un punto in cui una barca avrebbe dovuto portarli via», scrive nell’e-mail Gbomo. Il quale aggiunge: «Non c’è bisogno di dire che il denaro è stato immediatamente confiscato e sarà destinato a un uso migliore».
I sequestratori dei quattro tecnici – gli italiani Franco Arena, Cosma (Mimmo) Russo, Roberto Dieghi e il libanese Imad Saliba Abed – hanno poi nuovamente intimato la compagnia italiana a evitare di pagare riscatti in denaro. «Avevamo già messo in guardia l’Agip dal fare azioni che potrebbero mettere a rischio la vita degli ostaggi. Questi sono tenuti in custodia da guardiani che hanno precise istruzioni di ucciderli nel caso in cui venissero fatti tentativi di liberarli senza la necessaria autorizzazione», scrive ancora Gbomo.
Secondo quanto ripetuto da loro a più riprese, i ribelli non sono disposti a rilasciare i tecnici in cambio di soldi, ma dicono di volerli scambiare con quattro persone originarie del Delta del Niger detenute dal governo centrale, a cominciare dall’ex leader ribelle Alhaji Dokubo-Asari (in carcere con l’accusa di alto tradimento) e da Diepriye Alameisegha, l’ex governatore dello stato di Bayelsa in prigione con l’accusa di corruzione.
Il portavoce del Mend si sofferma poi sui dettagli dell’operazione fallita l’altroieri. Gbomo scrive che «l’Agip ha già perso più 200 milioni di naira (1,2 milioni di euro ndr) in quest’operazione». Ai 70 milioni pagati alla persona incaricata di corrompere le guardie, ne vanno aggiunti 130 versati ad altri intermediari. «Dovrebbero investire questi soldi in progetti per le comunità del Delta, il che potrà avere un effetto migliore su quanti combattono contro le compagnie petrolifere nel Delta del Niger», afferma il Mend.
L’Eni, dal canto suo, respinge tutte le accuse. Un suo portavoce ha ripetuto ieri quanto già detto nei giorni scorsi: la compagnia italiana non ha rapporti diretti con i rapitori e mantiene contatti solo con il ministero degli esteri italiano e con le autorità nigeriane.
Ma la situazione sembra complicarsi e i tempi per il rilascio allungarsi sempre di più. I rapitori appaiono risoluti a tenere gli ostaggi ancora a lungo, tanto più che l’approssimarsi delle elezioni di aprile (in cui si voterà per il presidente e per i governatori dei 36 stati nigeriani) complica il quadro politico.
A corroborare l’idea di un rapimento lungo, Jomo Gbomo ribadisce un punto già annunciato la settimana passata: «Agli ostaggi non sarà più permesso di fare telefonate, perché hanno abusato di questa concessione». Nei giorni a cavallo tra Natale e Capodanno, i quattro ostaggi hanno potuto comunicare per telefono a più riprese con l’Italia (prima con il manifesto, poi due volte con le rispettive famiglie). Ma proprio queste ultime telefonate sono state fatte, secondo Gbomo, «di straforo». Gli ostaggi avrebbero ottenuto un telefono cellulare in modo clandestino e se ne sarebbero serviti per chiamare le famiglie. Dall’e-mail in cui denunciava il fatto, il 30 dicembre, i quattro tecnici sarebbero stati spostati e nessun contatto è più avvenuto con il mondo esterno.
Sempre per ribadire il concetto di un sequestro lungo, ieri il Mend ha scritto all’agenzia Reuters di «ispirarsi alle Farc colombiane, che tengono gli ostaggi anche anni». Finora, il rapimento più duraturo nel Delta – avvenuto tra il febbraio e il marzo scorso – è durato cinque settimane.